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Promemoria per Bonomi: l’Irap così come è nel decreto aiuta pochi

E lo sconto sull'Irap rischia di essere solo un differimento. Va rivista anche la norma sulla patrimonializzazione delle imprese di medie dimensioni

Promemoria per Bonomi: l’Irap così come è nel decreto aiuta pochi

Forse possiamo ancora sperare che il ritardo dell’ufficialità del decreto Rilancio sia dovuto ad un ripensamento di alcune misure o al limite ad una migliore riscrittura del testo normativo, atteso che alcune norme delle bozze circolate in queste giorni e sulle quali noi tutti stiamo ragionando, in alcuni casi sono poco chiare ed in altri appaiono invece inadeguate al contesto.

 

La prima misura che andrebbe ripensata e riscritta è quella in materia di versamento dell'Irap. Analizziamo in cosa consiste l’agevolazione: nel mese di giugno 2020 le imprese devono versare il saldo Irap 2019, dopo che nel corso dell’anno 2019 hanno già versato gli acconti, il cui obbligo trova conferma anche nel testo normativo. A questo punto vediamo gli acconti versati nel corso dell’anno 2019: le imprese con ricavi inferiori a 7 milioni hanno versato due acconti parametrati al 90% dell’imposta 2018; le altre imprese hanno versato due acconti parametrati al 100 dell'imposta dell'anno precedente 2018. Quindi in sostanza, in una situazione di parità di business tra l’esercizio 2018 e l’esercizio 2019, le imprese più piccole conseguirebbero un risparmio di quel residuo 10%, mentre le altre imprese (fatturato superiore a 7 milioni) non avrebbero alcun risparmio o al limite un benefit molto modesto, atteso che il meccanismo di calcolo degli acconti, per come sopra descritti, fa sì che il saldo non è significativo. Fanno eccezione a questa ipotesi, le sole imprese che per situazioni commerciali favorevoli hanno conseguito un risultato nell'anno 2019 migliore dell'anno 2018 e si troverebbero ad avere un inopinato abbuono.

 

Questo è lo stato dei fatti per come è scritta la norma. Quindi, una norma poco impattante nella maggior parte dei casi e o che per assurdo favorirebbe solo le aziende che hanno avuto un risultato 2019 molto più performante rispetto all’anno 2018, in spregio a qualunque principio di giustezza; salvo che non si vuole che anche questi soggetti siano chiamati a liquidare gli acconti in funzione del risultato 2019. L’auspicio è quello di una maggiore chiarezza e trasparenza, in quanto la norma per come è in bozza nella maggior parte dei casi è una misura di sostegno poco significativa o al limite è una misura di sostegno per pochi casi, non certo selezionati secondo un criterio di equità e giustezza.

 

Parliamo ora del primo acconto Irap 2020: in questo caso, per non essere maliziosi, possiamo dire che la norma è pensata bene ma scritta male. Infatti il testo delle bozze circolate non consente di considerare l’abbuono del primo acconto Irap 2020 come uno sconto pari al 40 per cento dell’importo dovuta per questo anno ma solo come un differimento finanziario al versamento del saldo al giugno 2021di quanto risulterà dovuto per l’Irap 2020 a consuntivo. Se l’obiettivo è uno sconto vero, ovvero un abbattimento del 40 per cento dell’Irap 2020 serve una revisione del testo che tolga ogni dubbio in sede di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e di conversione in legge. Diversamente, si abbia il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome, ovvero differimento, senza trasmettere messaggi ingannevoli.

 

Voglio sperare che l’intervento vada nella direzione dello sconto, perché diversamente anche in questo caso saremmo di fonte ad un intervento poco significativo, anche in forza dell’impianto normativo che disciplina i meccanismi di calcolo degli acconti. Infatti l’impianto normativo vigente consente una rimodulazione (in senso riduttivo) degli acconti, in tutti i casi in cui l’esercizio in corso abbia un andamento in netta contrazione rispetto all’esercizio precedente; pertanto a prescindere da qualunque differimento, le imprese avrebbero in ogni caso potuto intervenire nella determinazione della prima rata di acconto Irap 2020.

 

La seconda norma sulla quale intervenire con urgenza è quella sul rafforzamento patrimoniale delle imprese di medie dimensioni: fermo restando che le misure di defiscalizzazione per il rafforzamento patrimoniale delle imprese sono e restano una misura importante e condivisibile, un volano per il nostro tessuto economico, cosi come indubitabile che la via maestra del rafforzamento patrimoniale è quella di aumentare il capitale sociale, pur tuttavia in una situazione drammatica come l’attuale è forse fuori contesto vincolare il credito d’imposta di ristoro delle perdite per le imprese (quelle con fatturato con fatturato tra i 5 milioni e 50 milioni) all’aumento di capitale.

 

Le motivazione sono almeno due: una di opportunità e di contesto, poichè sarebbero favorite ed avrebbero accesso alla misura molto più facilmente le imprese espressione di proprietà (potenziali sottoscrittori) più ricche. Diversamente imprese sane e con andamenti economici assolutamente soddisfacenti prima dell’emergenzal Covid-19, pagherebbero l’unica colpa di non avere soci ricchi. Trascurerei l’ipotesi che la sottoscrizione di un aumento di capitale in imprese di dimensione modesta (pensiamo al range di 10 milioni) possa in questo momento avere sottoscrittori diversi dagli attuali soci o familiari, che la considero al momento, un ipotesi scolastica.

 

La seconda motivazione è più tecnica. Invero, allorquando l’esercizio 2020 per le note drammatiche vicende si dovesse chiudere con una perdita (quella perdita da ristornare quota parte con il credito d’imposta) gli investitori/soci hanno già perso del capitale proprio, quindi sollecitare in questo contesto altro capitale, rischia di diventare una condizione di inaccessibilità al beneficio per realtà anche meritevoli, ricordando tra l’altro a noi tutti che abbiamo già un impianto normativo, nel nostro Codice Civile, che impone interventi sul capitale in caso di perdita, rispetto al quale anzi dovremmo preoccuparci di tutelare le nostre imprese (in tal senso va il rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi).

 

In definiva, l’auspicio è che il credito d’imposta per le perdite 2020, nella misura del 50% e seppure associato ad una percentuale del patrimonio netto, non venga subordinato all’aumento del capitale sociale, che potrebbe essere una misura ulteriore e sempre utile, ma mai vincolante in questa fase. Forse la norma così impostata avrebbe anche maggiori profili di equità tra le imprese, atteso che gli interventi a favore delle imprese oltre i 5 milioni, appaiono effettivamente troppo rigidi e severi, quanto a condizioni e requisiti, rispetto alle misure di sostegno previste per le imprese sotto i 5 milioni.

 

Concludo con ultimo disperato appello a bypassare le nostre ataviche lungaggini burocratiche, la consueta bulimia di consultazioni, pareri, visti e decreti attuativi, perché non c’è tempo e il malato è grave. Pertanto, è necessario ridurre al minimo lo scarto temporale tra l’adozione delle norme primarie e la loro concreta operatività, non prevedendo per esempio decreti attuativi, che prevedono il più delle volte il coinvolgimento di più ministeri. Ed è necessario velocizzare e semplificare al massimo l’accesso ai benefici, prevedendo il più possibile un sistema di controlli ex post sui requisiti di accesso, privilegiando ex ante i meccanismi di autocertificazione.

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