Istat fotografa l’Italia: imprese in crisi di liquidità e lavoro nero

Rapporto annuale Istat 2020: oltre un milione di famiglie conosce solo lavoro irregolare mentre oltre la metà delle imprese ha problemi di liquidità

Istat fotografa l’Italia: imprese in crisi di liquidità e lavoro nero

L’Italia del covid-19 non ha un bell’aspetto: oltre un milione di famiglie conosce solo lavoro irregolare mentre oltre la metà delle imprese ha problemi di liquidità.

Sono questi alcuni degli argomenti contenuti nel Rapporto annuale Istat 2020.

 

Effetti economici del covid-19

La ventottesima edizione del Rapporto annuale Istat sulla situazione del Paese esamina lo scenario venutosi a creare con l’irrompere dell’emergenza sanitaria causata dal coronavirus, fotografando una situazione davvero preoccupante da un punto di vista sociale ed economico.

 

Siamo nel bel mezzo di una recessione globale, senza precedenti storici per ampiezza e diffusione rispetto alla quale gli scenari di ripresa sono molto incerti, quanto a tempistica e, soprattutto, a intensità, osserva l’istituto di statistica nazionale.

 

L’impatto dell’emergenza sanitaria ha colpito l’economia italiana in una fase di quasi ristagno. Nel primo trimestre 2020, il blocco parziale delle attività connesso alla crisi sanitaria ha determinato, come nei principali paesi europei, effetti negativi dal lato della domanda e dell’offerta; il Pil ha segnato un crollo congiunturale del 5,3 per cento.

 

I fattori di fragilità sono diffusissimi, la questione del reperimento della liquidità cruciale, i contraccolpi sugli investimenti rischiano di costituire un forte freno nei prossimi mesi e una frazione di imprese è propensa a ridurre l’input di lavoro.

 

Dall’altro lato, si intravedono fattori di reazione e di trasformazione strutturale in una componente non marginale del sistema produttivo.

Le recenti previsioni Istat stimano per il 2020 un forte calo dell’attività, diffuso a tutte le componenti settoriali, con una contrazione del Pil superiore all’8 per cento che sarà solo in parte recuperata l’anno successivo.

 

Oltre la metà delle imprese ha problemi di liquidità

In estrema difficoltà le imprese, con oltre la metà (51,5 per cento) che segnala un rischio di liquidità insufficiente per far fronte alle spese che si presenteranno fino alla fine del 2020. Tale timore è tanto più diffuso quanto minore è la dimensione aziendale: il problema è segnalato da meno del 25 per cento delle grandi imprese (con più di 250 addetti) ma da oltre la metà di quelle più piccole.

 

La maggior parte delle aziende intende intervenire con l’accensione di nuovo debito bancario – attivato anche mediante il ricorso alle garanzie pubbliche ex DL 23/2020 – che è utilizzato o sta per esserlo dal 43 per cento delle imprese. I comportamenti variano con la dimensione: il nuovo debito bancario è lo strumento principale per le piccole e piccolissime unità, mentre viene scelto da circa un terzo di quelle medie e da meno di un quarto di quelle grandi.

 

Imprese: il 12% verso una “riduzione sostanziale” dei dipendenti

Oltre il 38% delle unità produttive segnala “seri rischi operativi e di sostenibilità” dell’attività che potrebbero coinvolgere l’impresa: è una segnalazione di difficoltà complessiva e probabilmente di forte incertezza sulle prospettive, diffusa soprattutto tra le imprese di dimensione minore. Oltre la metà delle imprese si aspetta una riduzione della domanda (interna o estera).

 

A livello settoriale, le attese più negative coinvolgono comparti rilevanti dell’industria e alcuni servizi severamente colpiti dalle conseguenze dirette dell’epidemia, quali trasporto aereo, alloggio, editoria, agenzie di viaggio.

 

Come reagiranno alla crisi? Quasi il 12 per cento delle imprese è orientata verso una riduzione sostanziale dei dipendenti; la tendenza tocca però solo il 6 per cento di quelle maggiori.

 

Un’impresa su otto, invece, ha espresso l’intenzione di differire o annullare i piani di investimento, tanto più considerando che anche in questo caso la frequenza aumenta con la dimensione, avvicinandosi al 27 per cento tra le imprese con più di 250 addetti: un effetto potenzialmente molto depressivo sul ciclo di accumulazione, diffuso soprattutto nella manifattura, nelle attività immobiliari, in quelle di trasporto e magazzinaggio.

 

Mercato del lavoro: oltre 6 milioni gli irregolari

Se la situazione non è buona per le imprese non può che essere peggio per le famiglie italiane, particolarmente preoccupate per il lavoro. Un aspetto particolarmente critico è rappresentato dall’elevato tasso di irregolarità dell’occupazione, più alto tra le donne, nel Mezzogiorno, tra i lavoratori molto giovani e tra quelli più anziani.

 

Il numero di famiglie coinvolte è elevato: si stima che siano circa 2,1 milioni quelle che hanno almeno un occupato irregolare – oltre 6 milioni di individui, pari al 10 per cento della popolazione – e che ben la metà di esse includa esclusivamente occupati non regolari.

 

La pandemia da covid-19, avverte l’Istat, rischia di ampliare le disuguaglianze sociali che caratterizzano il nostro Paese. A livello lavorativo, ad esempio, le donne, insieme ai giovani e ai lavoratori del Mezzogiorno, si confermano tra i più esposti a una bassa qualità del lavoro: ad essa sono associate retribuzioni inferiori alla media, elevati rischi di perdita del lavoro e alto livello di segregazione occupazionale.

 

Tra le donne è alta anche la diffusione dei cosiddetti orari anti-sociali (serali, notturni, nel fine settimana, turni): più di due milioni e mezzo di occupati, di cui 767mila donne lavorano di notte; quasi cinque milioni, di cui 2 milioni donne, prestano servizio la domenica e oltre 3,8 milioni, 1 milione e 600mila donne, sono soggetti a turni.

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