Effetto lockdown sul PIL

PIL Italia, Visco: per livelli pre-pandemia bisognerà attendere 2023

Il PIL dell'Italia potrebbe tornare sui livelli precedenti la pandemia Covid solo nella seconda metà del 2023, ha dichiarato il governatore Bankitalia Visco

PIL Italia, Visco: per livelli pre-pandemia bisognerà attendere 2023

Per tornare ai livelli pre-pandemia saranno necessari più di due anni. A dichiararlo il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, aggiungendo che servirà ancora più tempo per tornare sui livelli del 2007, prima che esplodesse la crisi dei debiti sovrani nell'area Euro. 

 

Secondo il numero uno di via nazionale "le proiezioni per i prossimi anni, seppur circondate da un'incertezza senza precedenti, suggeriscono che nel nostro paese il pil non recupererà il livello registrato alla vigilia dello scoppio della pandemia da Covid-19 prima della seconda metà del 2023".

 

"Ancora più tempo sarà necessario per riuscire a tornare ai valori del 2007, precedenti la doppia recessione causata dalla crisi finanziaria globale e da quella dei debiti sovrani dell'area euro. Si tratterà, quindi, di un "sostanziale ristagno dell'attività economica nel complesso di circa un ventennio, peraltro dopo un lungo periodo di crescita in media già debole", ha sottolineato il governatore in una lectio magistralis per l'inaugurazione dell'anno accademico del Gran Sasso Science Institute.

 

Intanto l'Europa annuncia chiusure più rigide per Natale per frenare la seconda ondata di contagi, con l'Italia che studia un lockdown più pesante per le festività natalizie dopo quello light di novembre.

 

Vediamo insieme quali effetti economici avrà questo lockdown sul PIL italiano.

 

Europa alle prese con lockdown più rigidi

I leader europei si stanno muovendo quasi all’unisono verso nuovi lockdown più rigidi per le festività natalizie, per arginare la seconda ondata di coronavirus che sta investendo l’Europa. La pandemia, infatti, ormai ne siamo consapevoli un po’ tutti, non è più circoscritta, anzi è largamente diffusa e quasi fuori controllo.

 

Si torna dunque alle restrizioni pesanti, pur sapendo gli enormi danni che queste causano all’economia, per evitare a tutti i costi un lockdown generalizzato. Obiettivo: trovare il giusto equilibrio tra il diritto alla salute e impatto negativo sul PIL delle limitazioni, con decisioni sofferte e impopolari che destano polemiche e scontri, soprattutto in Italia.

 

A novembre sulla scia delle restrizioni del Dpcm novembre molti italiani sono scesi in piazza per manifestare il proprio dissenso, nonostante gli indennizzi varati dal governo con il decreto Ristori, per alcuni considerati solo una mancia.

 

Il provvedimento in questione prevede non solo contributi a fondo perduto, ma anche il prolungamento degli ammortizzatori sociali e crediti d'imposta per le locazioni commerciali e gli affitti d'azienda, con uno stanziamento complessivo da circa 20 miliardi di euro.

 

Lockdown Italia brucerà 17,5 miliardi di consumi. PIL visto a -11% o -12%

Ci siamo fatti trovare impreparati alla seconda ondata di contagi”, accusa il Presidente di ConfindustriaCarlo Bonomi, stimando un’ulteriore discesa tra l’1% e il 2% del PIL.

 

Per il 2020 si prevede un crollo dell’economia attorno al -9%, ma queste nuove restrizioni potrebbero portare il PIL a segnare addirittura un -11% o -12%, rileva il Centro Studi Confindustria, registrando un danno per l’economia di 216 miliardi di euro, superiore ai fondi del Recovery Fund.

 

Bonomi oltre a chiedere maggiore coinvolgimento delle imprese nei processi decisionali dell’esecutivo, dichiara che gli italiani hanno perso fiducia nel governo, considerando che sono ancora 12 mila le persone che aspettano da maggio la Cig erogata dallo Stato. “Dobbiamo ristabilire questa fiducia”, ha spiegato il numero uno di viale dell’astronomia, “altrimenti questi provvedimenti perdono di efficacia”, riferendosi al decreto Ristori.

 

Le restrizioni rischiano di causare un’ulteriore perdita di consumi e di PIL di circa 17,5 miliardi di euro nel quarto trimestre dell’anno (2,7 miliardi di euro per la sola ristorazione), ha quantificato Confcommercio, prospettando il rischio di una caduta del PIL per l’anno in corso ben superiore al 10%, compresa la cessazione dell’attività di decine di migliaia di imprese e la cancellazione di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

 

Secondo i calcoli effettuati dall’associazione i consumi complessivi dell’intero anno si ridurranno di oltre 133 miliardi di euro rispetto al 2019 (-12,2% in termini reali), con una caduta della spesa presso gli alberghi superiore al 55% e quella presso la ristorazione al 50%.

 

È necessario affrontare l’emergenza sanitaria, ma la risposta non può essere solo ‘più chiusure’ perché così si finisce per chiudere il Paese, ha dichiarato il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli chiedendo al governo più programmazione e più coordinamento per risolvere la crisi del circuito dei tamponi, dei tracciamenti, dei controlli ed i nodi dei trasporti locali e della scuola, ricordando che i settori interessati dalle restrizioni (ristorazione, sport, cultura e intrattenimento) hanno già adottato tutti i necessari e concordati protocolli di sicurezza.

 

Associazioni: affossare il retail significa affossare l’economia del Paese

Cncc, Confcommercio Lombardia, Confimprese, Federdistribuzione e Fipe, criticano fortemente la chiusura dei centri commerciali nel fine settimana, specificando che dalla riapertura degli scorsi mesi i punti vendita hanno dato costantemente mostrato di poter esercitare la propria attività in totale sicurezza e che “affossare il retail significa affossare l'economia del Paese". 

 

Secondo Donatella Prampolini, presidente Fida è incomprensibile come si possa pensare che la soluzione per contrastare l’aumento dei contagi sia quella di “chiudere attività produttive, dove, lo dimostrano i fatti e non le parole, le procedure anticovid vengono rispettate e funzionano.

 

In crisi non solo il retail ma anche il settore congressi ed eventi, che genera un indotto di 64,7 miliardi di euro, con un impatto diretto sul PIL di 36,2 miliardi di euro/anno, occupando 569 mila addetti. Da considerare che si tratta di un settore strategico e trainante per il turismo visto che assicura l’occupazione alberghiera anche in bassa stagione e che permette di espandere le esportazioni delle imprese italiane.

 

Protesta anche il settore dei giochi, che conta circa 70mila aziende e che per il 2020 prevede perdite effettive e stimate di gettito erariale e perdite di remunerazione del comparto per l'attività imposta dalle concessioni del 50% rispetto all'anno precedente.

 

Geronimo Cardia, presidente dell'Associazione Concessionari di Giochi Pubblici (Acadi-Confcommercio) chiede al governo di riconsiderare la chiusura del settore dei giochi con l'apertura in determinate fasce orarie delle sale gioco corrispondenti a quelle degli esercizi commerciali.

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