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Cronache Terrestri

La filiera dei supermercati e farmaceutica in affanno per la peste 4.0

Supermercati e farmaceutica in affanno. Conte nomini un Gos, una struttura di coordinamento funzionale per tutto quanto non è sanità e sicurezza nazionale

La filiera dei supermercati e farmaceutica in affanno per la peste 4.0

Cronache Terrestri

Prendiamo a prestito il titolo di una celebre raccolta degli articoli di Dino Buzzati, edita da Mondadori. Il grande scrittore, giornalista del Corriere, per descrivere il Giappone, in un’epoca in cui la televisione non era ancora diffusa e gli squarci sulla vita degli altri paesi erano dati soltanto dagli inviati dei grandi giornali, iniziava così: “le nuvole sono esattamente uguali alle nostre”. Buzzati voleva significare che in Giappone tutto il resto era diverso. Oggi il Covid-19, titolo scientifico (e asettico) della peste 2020 sta livellando il mondo. The Italian Times con Cronache terrestri offre per i lettori una sintesi delle notizie e degli umori del giorno, con due certezze: a) è fondamentale informare ed essere informati per poter meglio capire quanto ci sta succedendo; b) dobbiamo conservare, nella grande paura e nella grande speranza, lucidità e capacità di selezionare i fatti rilevanti da quelli che lo sono meno, oltre che dal grande cicaleccio dei social e dal proliferare degli esperti tv. 

 

 

Nella peste 4.0 ci sono due immagini pubbliche, note a tutti: il dramma degli ospedali della Lombardia (e bisogna ringraziare La7 e Formigli per aver trasmesso la sera di giovedì 19 immagini crude dall’interno, con i lettini di terapia intensiva distribuiti per i corridoi, pazienti che si intuivano allo stremo e infermieri ovviamente pure, anche se non in pericolo di vita) e la calma apparente delle città vuote, dove tuttavia siamo costretti a mandare in giro forze di polizia e magari esercito per controllare chi se ne va in giro senza motivo. Ma ci sono purtroppo molte immagini poco note, che però nel giro di pochi giorni, se non prima, avranno effetti gravi anche e soprattutto sulla tranquilla vita degli eroi che stanno a casa senza fare storie. Ne riporto due, a titolo di esempio. Ciascuno può aggiungere le proprie.

 

Tutelare la catena alimentare e farmaceutica. La prima delle immagini nascoste che va portata in primo piano è quella delle persone che lavorano alla catena dei rifornimenti ai supermercati e alle farmacie, oltre che alle casse: il livello dell’assenteismo è già al 60 per cento, se continua sarà difficile assicurare (ammesso che la produzione regga) i rifornimenti. Gli autotrasportatori poi vengono guardati pressoché come untori, li guardano con sospetto persino se scendono dal camion per andare al bagno prima di ripartire. In queste condizioni, le filiere alimentari e farmaceutiche rischiano grosso ed è bene saperlo. Intanto un certo Putin in Russia, pur nascondendo i numeri del contagio per dare l’idea che il suo paese ne sia immune, sta distribuendo con l’esercito le provviste alimentari porta a porta nelle grandi città. E’ bene saperlo ora, pur nelle differenze che ben sappiamo tra regimi totalitari e non, poiché le democrazie il tema organizzativo e della risposta efficiente in tempi rapidissimi devono porselo dal punto di vista concreto e operativo, altrimenti resteremo nel migliore dei casi a discettare a vuoto di tali differenze (nel peggiore ciascuno può immaginare cosa potrà succedere).

 

Seconda immagine: le Poste sono uno snodo fondamentale di questa situazione, molto più di quanto si creda, e basti pensare a Postepay e alla necessità dei figli di mandare soldi ai genitori o viceversa. O pacchi, o quant’altro. Per questo sottoponiamo a Matteo Del Fante e ai suoi apprezzati manager, da Giuseppe Lasco a Paolo Iammatteo, uno squarcio di vita quotidiana in uno dei loro avamposti sulla peste 4.0: ufficio postale di Roma Prati aperto solo tre mattine alla settimana, fila di ore fuori, entrano tre persone alla volta, una per sportello, richiesta dell’emissione di una Postepay necessaria per acquistare on line le mascherine che non si trovano in farmacia, mezz’ora di trattativa pubblica su redditi e dintorni, poi emissione della carta con invio di posta certificata, infine annullamento senza appello perché la richiedente aveva inizialmente detto di voler depositare 540 euro e poi si era accorta di avere soltanto 440 euro. Sarebbe bastato correggere la cifra del versamento, invece la signora in questione viene invitata a rimettersi in fila fuori mentre l’ufficio sta chiudendo. Allo sportello di fianco, una signora 80enne deve trasferire una piccola somma da un Bancoposta cointestato col marito a Soriano del Cimino ad un conto corrente di Roma, dove ora è costretta a restare. Non si ricorda il Pin, nessun aiuto e nessuna comprensione, deve uscire e poi ha persino una leggerissima tosse all’interno della mascherina. Le impiegate scappano terrorizzate, la signora esce piangendo. 

 

Si potrebbe continuare, e ciascuno di noi ha appunto in mente un esempio tratto dalla propria recentissima esperienza. E se quanto sopra succede in zone che non sono rosse, e nemmeno hanno una percentuale significativa di contagiati siamo messi male.

 

Quanto sopra per dire che serve un approccio diverso alla gestione quotidiana delle peste 4.0. A partire dal vertice dello Stato. Gli Stati Uniti una delle prime cose che hanno fatto quando si sono resi conto della capacità di offesa del virus è stata quella di assicurare la continuità della catena di comando, attivando un meccanismo automatico del Pentagono per le crisi nucleari che non era mai stato chiamato in causa negli ultimi 73 anni, per cui se il Presidente dovesse venire contagiato i poteri passano al suo vice, e così via sino all’ultimo soldato rimasto a combattere. Noi di generali ne abbiamo dieci volte di più degli Stati Uniti, ma non è questo oggi il nostro problema per il semplice fatto che non abbiamo una catena di comando definita. 

 

Occorre costituire un Gos, gruppo operativo straordinario, posizionato nei locali della presidenza del Consiglio alla Galleria Sordi, a 20 metri da palazzo Chigi, composto da 20-25 membri (ciascuno con un sostituto per i turni visto che dovrà essere in funzione 24 ore al giorno) designati dai diversi organismi che devono assicurare il funzionamento del Paese nell’emergenza: quindi, un manager designato dalla grande distribuzione che sa di cosa parla, che sa come funziona la catena alimentare; un uomo del vertice intermedio delle Poste, un esponente di Coldiretti a nome del settore primario, quattro rappresentanti di Confindustria (un lombardo, un Veneto, un emiliano e uno nazionale), uno delle catene di ristorazione, uno dei tabaccai, due dalle banche, due per ogni ministero, un comunicatore designato da Confindustria Intellect, i rappresentanti delle Forze di polizia, due sindacalisti e quant’altro venga ritenuto necessario per avere risposta immediata dai settori sensibili che garantiscono il funzionamento del Paese, sia pure a scartamento ridotto. Ovviamente l’elenco è all’impronta, si deve farlo scientificamente e facendo in modo che ciascuno dei componenti sappia dove mettere le mani e abbia potere di intervento rispetto al suo settore. Quando non ce l’ha, entrano in gioco le strutture dello Stato per autorizzare o ordinare l’intervento.  Il coordinamento dell’emergenza sanitaria non rientra tra i compiti del Gos, se ne occupano il premier, il ministro della Salute e gli esperti già coinvolti da Walter Ricciardi in giù), mentre  per dire “state in casa” bastano il premier, il ministro dell’Interno, Vincenzo De Luca, Belen Rodriguez e chiunque su Facebook.

 

In pratica, serve un National Security Council o National Security Advisor all’americana, ma senza la gestione della sanità e della sicurezza, dedicato e totalmente concentrato sull’assicurare la normalità, a tenere sotto controllo i gangli vitali del Paese, guidato da un Commissario straordinario che risponde al premier. Potrebbe essere istituito con un decreto del presidente del consiglio di coordinamento generale per, sintetizzando, “affrontare tutte le problematiche connesse al funzionamento di tutto ciò che nel Paese rimane aperto durante l’emergenza Coronavirus”. Il varo di questo organismo non ha nulla a che vedere con l’assetto attuale della sicurezza, con il Consiglio Supremo di Difesa o col Dis, quindi con quanto disciplinato dalla legge 133, si tratta invece di assicurare la continuità dell’ordinato svolgersi dell’emergenza stessa, dove le fabbriche tenderanno a fermarsi anche nei settori strategici, dove l’intendenza non sappiamo se seguirà, dove le Poste devono essere in grado di spostare delle piccole cifre anche se la titolare 80enne della card non si ricorda il pin (e va aiutata a ricostruirlo anche telefonando al marito).

 

Forse il rappresentante delle Poste nel Gos non sarebbe potuto intervenire direttamente nel caso di Rima Prati ma avrebbe certamente avuto sotto controllo la tenuta psicologica degli impiegati allo sportello nelle zone calde e semicalde e avrebbe avuto soprattutto il potere di farli avvicendare intervenendo direttamente sulle dinamiche aziendali. 

 

In teoria, occorrerebbe mettere nel Gos anche un burocrate che si occupi con la sua squadra di rendere operativi in 24 ore i decreti del governo, ma di questi ce ne sono a iosa ed è meglio che lavorino dove sono, perché anche da questo punto di vista la situazione rischia di avvitarsi nel seguente cane che si morde la coda: i contenuti sommari dei decreti vengono anticipati, poi ci si mette due giorni a vararli, altrettanti a promulgarli e non si sa quanto ad avere i regolamenti attuativi. Su questi si aspetta un colpo di reni dalla burocrazia italiana, anche dai capi di gabinetto stile “io sono il potere”, ma il Gos deve occuparsi di come mandare avanti il Paese e magari fare in modo, paradossalmente, che se più avanti ci dovesse essere un assalto ai forni (lo diciamo metaforicamente, è bene precisarlo) almeno nei forni si trovi qualche sfilatino.

 

Senso di responsabilità vuol dire ricordarsi che di fronte ad un’emergenza sanitaria che non fa distinzioni di classe ci sono invece due classi di persone che l’affrontano (a parte la trincea dei medici e degli infermieri, che sta pagando un prezzo altissimo): quelli che si lamentano di dover stare a casa, e quelli che vorrebbero stare a casa ma devono lavorare per provvedere a quelli che stanno a casa. Allora: primo, le cose per chi lavora vanno organizzate non bene, ma benissimo, come atto dovuto e per rispetto; secondo, chi sta a casa abbia il pudore di non alzare polvere. 

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