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Le pagelle del direttore

Il voto premia i governatori uscenti. Sale Zingaretti, stabile Di Maio

Salvini e Meloni non sfondano alle Regionali. Il referendum va come previsto, ma può questo Parlamento eleggere il nuovo presidente della Repubblica?

Il voto premia i governatori uscenti. Sale Zingaretti, stabile Di Maio

Il voto referendario è chiaro (e da noi atteso in questi termini), le sue conseguenze istituzionali vanno declinate e non sarà facile, i problemi interni a Cinque Stelle e Pd non sono affatto risolti, sparisce lo spauracchio delle destre vincenti (hanno conquistato le Marche, ma magari in Puglia molti di loro hanno votato Emiliano che aveva ufficialmente invocato il voto disgiunto citando esplicitamente la destra), il Paese resta diviso e i problemi reali da affrontare (economia del Covid, lavoro, assistenzialismo e debito pubblico) sono evidentemente gli stessi di prima. Ovviamente, tutti stanno dicendo che hanno vinto: il Pd ha vinto perchè non ha perduto Toscana e Puglia; il centro destra ha vinto nelle Marche, Di Maio si intesta il referendum. Soprattutto, e questo è incontrovertibile, hanno vinto Zaia, De Luca e Toti.


E’ il tema che dominerà il dibattito politico nei prossimi mesi: può un Parlamento delegittimato eleggere il nuovo Capo dello Stato? Il tema è delicato: in molti, a cominciare dal Quirinale stesso, diranno che così non è ma di fatto sul piano politico e costituzionale dovrebbe essere il nuovo assetto del Parlamento (400 deputati e 200 senatori) più i rappresentanti regionali ad eleggere il nuovo capo dello Stato. Il rischio infatti è quello di esporre la Presidenza della Repubblica, nel caso dovesse assumere orientamenti criticabili da una parte politica, alle accuse di essere stata eletta da un Parlamento non più legittimato, prima da se stesso e poi dagli italiani con il referendum.


Di contro, le elezioni anticipate alla primavera prossima potrebbero tornare di attualità proprio perchè non c’è più lo spauracchio delle destre vincenti. Si farebbe facilmente una legge proporzionale, con uno scontro all’ultimo sangue sulle preferenze (ma Dario Franceschini qualcosa si inventerà) e si potrebbe ripartire andando a verificare i reali rapporti di forza nel Paese tra i due partner della coalizione giallorossa. I parlamentari attuali, visto che il taglio decorre dalla prossima legislatura, faranno ovviamente le barricate per godersi gli anni che mancano, ma logica vorrebbe che si andasse alle elezioni anche e soprattutto perchè i grillini in due anni hanno perso il 20 per cento dei consensi del 2018 e sono sovradimensionati nella rappresentanza parlamentare rispetto ai voti che hanno messo insieme alle regionali.

 

Si tratta di dinamiche che possiamo passare meglio al microscopio attraverso le pagelle dei protagonisti. Eccole, partendo dai voti più alti, quelli dei governatori, dove l’elettorato ha premiato chi già era al potere, soprattutto per l’inconsistenza o la vecchiaia politica (vedi Fitto o Caldoro) degli sfidanti.


Luca Zaia, voto 9. Ha ottenuto il consenso di tre veneti su 4, essendo stata determinante la gestione del Covid e il rapporto già fortissimo con il suo elettorato. Quando e come vorrà occuparsi della Lega nazionale lo deciderà lui, ma l’impressione è che lascerà le gatte da pelare a Salvini e più avanti deciderà cosa fare fuori dal Veneto.

 

Vincenzo De Luca, voto 8. Anche il governatore della Campania, alter ego di Maurizio Crozza, ha gestito bene l’emergenza virus, ha tolto consensi a Caldoro imbarcando molti portatori di voti di centro e di destra, oltre ai vecchi democristiani come De Mita. Saranno cinque anni pirotecnici nel golfo di Napoli.

 

Giovanni Toti, voto 8. La sua lista è il primo partito in Liguria, anche se a distanze siderali da quelle toccate da Zaia in Veneto. Ha gestito bene anche la delicatissima partita del ponte Morandi insieme al sindaco di Geniva, Bucci.

  

Michele Emiliano, voto 7,5. Ha chiesto ufficialmente il sostegno di tutti, voto di destra compreso, e ha avuto ragione. Sembrava avere problemi nella sanità, anche se la Puglia è stata appena sfiorata dal virus. Ha fatto argine anche alla calata di Di Battista.

Nicola Zingaretti, voto 7. Il Pd resta centrale nella coalizione di governo e nelle alleanze. Ora deve consolidare l’accordo con i 5Stelle sulla gestione del dopo referendum e del governo, deciderà se chiedere il rimpasto o puntare alle elezioni. Non gli diamo di più perchè De Luca ed Emiliano diranno che hanno vinto senza il Pd.

 

Luigi Di Maio, voto 7. Si è trincerato sul fronte del referendum, battaglia storica del Movimento. Gestirne le conseguenze istituzionali adesso non sarà facilissimo proprio perchè cozzano con la perdita enorme di peso sui territori certificata dal voto regionale. E i problemi interni rischiano di essere laceranti, non tanto rispetto a Di Battista o a Crimi o a Casaleggio ma soprattutto nella gestione del potere dell’esecutivo, tra Conte e Zingaretti.

 

Eugenio Giani, voto 7. Giocava in casa, amministratore di lungo corso ed espressione di apparati consolidati ha mantenuto con un discreto margine una delle due regioni italiane storicamente rosse. Non sappiamo quale personalità politica potrà esprimere da governatore ma ha fatto il suo.


Francesco Acquaroli, voto 7. E’ l’unico esordiente di destra a vincere, in una regione dove non sono scattati i richiami identitari della Toscana. Ha fatto bene il suo.

 

Giuseppe Conte, voto 6,5. Ha concesso un Sì burocratico al referendum e si è tenuto fuori dalla contesa sulle regioni. Può avere richieste di rimpasto dal Pd ma è in grado di governarle. Tutto il resto dipende da lui, se decide di prendere l’iniziativa con mosse politiche che vadano ben oltre la gestione quotidiana, spendendosi fuori dai riflettori per un’alleanza organica tra Pd e Cinque Stelle, valutando se e come secondare le elezioni anticipate e rafforzando la sua squadra di governo. Ha giustamente elogiato da palazzo Chigi la partecipazione al voto, “prova di attaccamento alla democrazia”.

 

Matteo Salvini, voto 5. Abbaia ma non morde, al Sud non sfonda, il Veneto è saldamente e interamente nelle mani di Zaia, la Lombardia ha affrontato come ha potuto il grande assalto del virus. Deve registrare progetti e comunicazione, un pò come la fidanzata Francesca gli ha modificato il look.

 

Giorgia Meloni, voto 5. Ha sbagliato il candidato in Puglia, poichè lo stesso Salvini l’aveva avvertita che con Fitto si perdeva. In generale, non era facile trovare un candidato nuovo e vincente, il centrodestra ha un problema di classe dirigente che lei da sola non può colmare.

 

Matteo Renzi, non pervenuto. Italia Viva vivacchia sotto tutte le soglie minime del proporzionale.

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