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Ricordate Moretti? Nel post Covid la presenza è la nuova esclusione

Riti, miti e dispiaceri della grandissima selezione alle sfilate di Valentino, Gucci, Dior, Etro dopo la fine dell’uguaglianza forzata del lockdown

Ricordate Moretti? Nel post Covid la presenza è la nuova esclusione

“Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate: "Michele vieni di là con noi, dai", e io: "Andate, andate, vi raggiungo dopo". Ecce Bombo, anno 1978. Quante volte l’avremo ascoltata? Almeno mille, anche se amiamo poco Nanni Moretti; anzi, proprio se non tolleriamo il morettismo, tendiamo a ricordarla con maggior forza, come un memento fastidioso delle nostre insicurezze e, al tempo stesso, del nostro bisogno di piacere. State pronti perché ce ne rammenteremo ancora di più adesso, in epoca infra-Covid: il tormentone entrato nel lessico comune più trito e annoiato ha infatti ripreso vigore sull’onda della nouvelle vague dell’esclusività: la presenza. “Ma tu sarai in presenza o collegato via Zoom?” è la domanda circospetta che i modaioli e i frequentatori più assidui di eventi in epoca pre-pandemica si sono scambiati con maggiore frequenza nelle ultime settimane, cioè da quando è risultato evidente che qualche evento, in effetti, è stato organizzato, ma che prevede per la massa il link alla diretta digitale e l’invito “fisico” (i nuovi eventi si definiscono proprio così, “phygital”, in crasi) per pochi, pochissimi invitati; talmente intimi da potere essere considerati alla stregua di congiunti.

 

La limitazione forzata dei posti disponibili per rispettare le ormai celebri “norme di distanziamento sociale” sono diventati il mezzo grazie al quale pr e uffici stampa si sono liberati degli indesiderati, degli imbucati e degli imbaccuccati, dei mangiatori di tartine a sbafo e degli scolatori di champagne senza un domani. La prova si è data e si è conclusa nelle ultime settimane, dove i brand italiani e francesi (i primi in maggior numero rispetto ai secondi) hanno mostrato in ordine sparso e forzatamente destagionalizzato il meglio delle proprie ultime produzioni. E se i cronisti e gli ospiti inglesi, russi o cinesi potevano facilmente tollerare di seguire le sfilate milanesi e quelle haute couture e cruise di Valentino, Gucci e Dior in video (dopotutto, non l’hanno fatto in totale circa 60 milioni di persone in tutto il mondo?), fra gli ospiti e i giornalisti italiani la competizione è scattata con le modalità consuete. Spionaggi, domande trabocchetto, telefonate irose, querule e infantili (“perché io no che vi seguo sempre?”) agli organizzatori. Perché è ovvio che la presenza, selezionatissima, “cerziorata” come avrebbero detto gli scienziati di un tempo, è sinonimo di stima, affetto, considerazione, tutte caratteristiche invidiabili e, come ovvio, invidiate.

 

Numerosissime le scuse, perfino pubbliche, a mezzo Instagram, di mancate presenze per inviti in realtà mai arrivati. Quelli che non riuscivano proprio a sedere alla sfilata di Etro al Four Seasons “perché sai, gli alberghi, adesso”. Quelli che non potevano essere alla sfilata di “Maria Grazia” (Chiuri) da Dior perché impegnati in una riunione improrogabile a Napoli. I consulenti che “mi aspettava Pierpaolo” (Piccioli) da Valentino, senza sapere che aveva invitato a Cinecittà solo un ristretto gruppo di critici italiani e nessun cliente (i fortunati vedranno la grandiosa collezione, riadattata in proporzioni reali rispetto alla mise en scène della performance fra poche settimane, in appuntamento, come deve essere per chi investe fino a centomila euro in un abito). Quelli che, perfino, si informavano sul luogo dove Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, avrebbe organizzato la sua poderosa no stop live (dodici ore di backstage della campagna per la collezione cruise “Epilogue”, interpretata dall’ufficio stile, vista da 37 milioni di persone), forse nel tentativo di apparirvi di sfuggita, chissà (era a Palazzo Sacchetti in via Giulia, a Roma, blindato ancora due giorni dopo mentre gli addetti finivano di smontare le ultime luci e la regia).

 

Fotografi e paparazzi girano ormai disorientati e in generale sfaccendati, influencer di medio e piccolo calibro privi di luoghi e di occasioni per esercitare la propria influenza. Insomma, una grandissima selezione, grazie alla quale si sono ricompattate e focalizzate occasioni che, negli anni, si erano trasformate in improbabili kermesse da stadio. In lessico contemporaneo, pericolosi assembramenti. Con grande abilità, gli uffici comunicazione dei grandi marchi stanno adattando inviti e segnali di favore anche agli ospiti di seconda fascia, convocati con inviti garbatissimi ed eleganti, talvolta perfino in cartoncino, che recano in calce il link diretto da cliccare per collegarsi agli eventi. Un passo oltre i famigerati inviti “standing” che fino al 9 marzo rappresentavano la Siberia della geografia modaiola e per i titolari dei quali il lockdown è stato, mondanamente parlando, una liberazione, cioè la garanzia di trovarsi per la prima volta sulla stessa lunghezza d’onda di chi siede in prima fila e poi, ancora, alla cena “in onore”. E’ stato l’unico e l’ultimo momento in cui tutti si sono sentiti “uguali”: di fronte ai webinar. Poi è ricominciato l’incubo dell’esclusione. Che adesso, come un ossimoro, si definisce “presenza”.

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