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G.M.Flick: “La prossima legge elettorale chiamiamola Diabolicum”

Intervista al Presidente emerito della Corte Costituzionale: “Le riforme non possono essere strumenti per risolvere i giochi politici della quotidianità”

G.M.Flick: “La prossima legge elettorale chiamiamola Diabolicum”

È durato pochi mesi l’accordo dei partiti della maggioranza giallorossa sulla riforma delle legge elettorale. Il ‘Germanicum’, che introdurrebbe un modello simil-tedesco con proporzionale puro e sbarramento al 5%, vede ora i renziani contrari e pronti a chiudere ogni trattativa. Con Italia Viva che ha fatto mancare i suoi voti il Pd ancora non riesce ad ottenere la calendarizzazione della proposta di legge in Parlamento. Ed è alla ricerca di nuovi alleati che diano il loro appoggio alla modifica del sistema di voto delle prossime politiche. La tensione resta alta. Mentre ancora una volta una riforma elettorale si trasforma in terreno di scontro, un risiko in cui obiettivi e posta in gioco sono spesso diversi da quelli dichiarati e minano equilibri politici e stabilità della maggioranza. Il presidente emerito della Corte Costituzionale Giovanni Maria Flick non ha dubbi: “Un grave errore legare le riforme alle contingenze politiche del momento. E poi una legge elettorale si cambia a inizio legislatura, non alla fine”.


Presidente Flick, in queste settimane la modifica della legge elettorale si è arenata. Il ‘Germanicum’ rischia di inabissarsi nel gioco dei veti incrociati, contropartita molto spesso di altre questioni aperte. Cosa sta accadendo?

G.M. Flick: “Purtroppo è chiaro che c’è una contrattazione continua su tematiche diversissime l’una dall’altra e che non hanno niente a che vedere col tema specifico in questione. Come cittadino sono preoccupato e come tecnico perplesso. Ma penso che sia inutile seguire un mese dopo l’altro la serie di varianti infinite che, a seconda delle contingenze politiche attuali, si ripercuotono sulle prospettive di riforma elettorale”.


In Italia le leggi di modifica del sistema di voto sembrano essere un chiodo fisso delle forze politiche. Ogni tot anni si ricomincia da capo. Nel 2017 è stato approvato il cosiddetto 'Rosatellum' con cui siamo andati al voto nel 2018. Da un anno la nuova maggioranza cerca una sintesi su una nuova legge che dovrebbe reintrodurre un proporzionale puro.  La querelle è sempre la stessa: da un lato la stabilità degli esecutivi, dall’altro il principio di rappresentanza.


G. M. Flick: “Credo che l’ultimo gesto di buon senso in questa materia sia stato il Mattarellum che rappresenta il tentativo di un mix equilibrato tra l’istanza della rappresentanza e quella della stabilità, che sono i due problemi che si confrontano in materia elettorale. Dopo ci sono stati seguiti sconvolgenti. Prima il ‘Porcellum’, chiamato così per denominazione dello stesso autore (il leghista Calderoli, ndr), che non ha mai nascosto l’intento di avvelenare i pozzi per bruciare i risultati e le chances di vittoria della controparte politica. Dopo il ‘Porcellum’ c’è stato l’intervento della Corte costituzionale che ha puntualizzato la necessità che il premio di maggioranza non fosse sproporzionato. Quello riconosciuto dalla legge Calderoli era addirittura superiore a quanto previsto dalla famosa legge Acerbo nel periodo fascista. Ma dopo i rilievi della Corte si è aperta un’ulteriore stagione. Con nuovi problemi e nuovi orientamenti. Da un lato chi riteneva che avremmo dovuto votare con il ‘Consultellum’, praticamente il ‘Porcellum’ senza premio di maggioranza e liste bloccate secondo quanto stabilito, appunto, dalla Consulta. E chi pensava, invece, che avremmo dovuto varare una nuova legge. Così sono venuti fuori l’‘Italicum’ e poi il ‘Rosatellum’ dal nome di chi l’ha proposto (Ettore Rosato, allora deputato del Pd e adesso nelle file di Italia Viva, ndr). L’indicazione della legge col nome in latino di chi l’ha proposta esprime con estrema chiarezza la realtà. Tant’è che la prossima legge elettorale, qualunque sia il suo contenuto, dovrebbe essere soprannominata ‘Diabolicum’. Perché ‘errare humanum est, perseverare diabolicum’…”.


Come se ne esce?


G.M. Flick: “Il tema di fondo è sempre lo stesso: stabilità oppure rappresentanza, maggioritario o proporzionale puro o proporzionale temperato, premio di maggioranza e in quale misura, soglia di sbarramento oppure no. Ma se ne esce solo nel momento in cui si comprende che non possiamo continuare a considerare le riforme del sistema di voto o quelle della nostra Costituzione come strumenti per risolvere i giochi politici della quotidianità”.


E’ un problema secondo lei che quella elettorale sia una materia disciplinata con legge ordinaria e non di rango costituzionale?


G.M. Flick: “Durante la fase costituente si era posto il problema della collocazione della legge elettorale in Costituzione oppure no. Si decise di non inserirla perché si temeva che avesse un eccesso di rigidità proprio perché le modifiche della Carta richiedono modalità più complesse e presuppongono che si rifletta un po’ di più di quanto si debba fare per le leggi ordinarie. Non credo che i padri costituenti avessero immaginato che ci sarebbe stato questo fuoco d’artificio nella materia elettorale. Fuoco d’artificio che è problematico anche per altri aspetti. La legge elettorale si modifica di solito all’inizio e non alla fine della legislatura perché deve consentire una valutazione di come ha funzionato. Mentre il fatto di modificarla alla fine è proprio il segnale che nella migliore delle ipotesi si vogliono avvelenare i pozzi”.


In che modo la riforma della legge elettorale si lega alla modifica costituzionale che riduce il numero di parlamentari e al referendum del prossimo settembre?


G.M. Flick: “Il problema si raccorda con quello altrettanto importante del dimezzamento dei parlamentari. Come se fossero le medicine che vanno tagliate a metà per poter prendere una dose ridotta invece di averne una confezione che sia di portata inferiore. Sono rimasto perplesso del modo con cui si è motivata la legge costituzionale che adesso è sottoposta a referendum: non abrogativo, come quello “ordinario”, ma al contrario per farla entrare in vigore. L’idea di dire eliminiamo i parlamentari perché sono troppi, costano troppo e fanno troppo poco, non è mio avviso sufficiente. Sono convinto che quello della politica sia un costo necessario. Se eliminiamo elezioni e parlamentari avremo meno costi ma non un risultato di democrazia. Basta pensare ai cambi di idea (tra favorevole e contrario) che hanno accompagnato le votazioni, senza motivazioni o con la esplicita speranza che il referendum di prossima celebrazione impedisse l’entrata in vigore della legge. Tutto questo è stato accompagnato anche da una sistematica delegittimazione del Parlamento. Pensiamo a tutte le vicende della pandemia. Più volte ci si è chiesti: ma il Parlamento che ci sta a fare? Come se fosse solo un notaio destinato a registrare ciò che stava accadendo. La sequenza dei Dpcm che ha retto il sistema ha funzionato con un riferimento fittizio e apparente alla presenza della legge richiesta dalla Costituzione. E’ noto che le leggi le fa il Parlamento. Quelle leggi possono essere anticipate solo in caso di necessità e di urgenza straordinaria da decreti legge che poi vanno confermati dal Parlamento medesimo. Siamo stati e siamo molto lontani da tutto questo”.


Cosa non funziona davvero nel nostro sistema istituzionale?


G.M. Flick: “Da persona che ha studiato un po’ di diritto mi sono fatto un’idea personale. Credo che il problema di fondo della situazione italiana sia questo. Un tempo la legge le faceva il Parlamento, il Governo la applicava, i giudici ne controllavano l’applicazione. Su questo meccanismo è intervenuto il sindacato di costituzionalità con cui la Corte Costituzionale ha avuto il compito di giudicare la conformità delle leggi ordinarie alle super leggi rappresentate dalla Costituzione. Tutto questo ha funzionato fino a un certo punto, finché non è andato in crisi il principio di legalità che è fondamentale nel nostro sistema giuridico-istituzionale. Il cosiddetto ‘ multilevel’, ovvero la presenza di più fonti delle regole - la legge del Parlamento, l’interpretazione che ne dà il giudice italiano, quella che ne dà il giudice europeo sia esso Corte di Giustizia Ue o Cedu – costituiscono una serie di voci di rilievo che hanno supplito alle carenze che via via i Parlamenti stavano mostrando: lentezza nel decidere, farraginosità, mancanza del polso della situazione.


Gli equilibri tra funzione legislativa e quella esecutiva e giudiziaria stanno cambiando?


G.M. Flick: “Siamo in una situazione in cui rispetto al diritto vivente, cioè quello applicato dai giudici oppure elaborato da provvedimenti amministrativi come i famosi Dpcm, la legge si sta scolorendo sempre più. A questo punto non è più il legislatore che fa le leggi; si è aperta la battaglia per la successione tra il Governo da un lato e i giudici dall’altro lato. Ciascuno dei due ritiene di doverla esercitare: allora abbiamo il Governo che sotto lo schema del Dpcm in realtà disciplina l’urgenza e l’emergenza con degli ordini amministrativi. Dall’altro lato, abbiamo i giudici che dovrebbero limitarsi a interpretare la legge ma che la interpretano in un modo che spesso e volentieri diventa una sua creazione”.


La Costituzione italiana è una delle più studiate al mondo, un capolavoro del diritto e anche di mediazione politica. Da 72 anni è l’ossatura del nostro ordinamento. Diverse le modifiche negli anni. Nel 2016, prima della riduzione dei parlamentari, se ne è tentata una piuttosto disordinata. Un referendum l'ha bocciata. Da dove ripartire? 

 

G.M. Flick: “Fino a quando non risolveremo il problema di fondo cui ho fatto appena riferimento e tanti altri dello stesso calibro, non vedo come possiamo aprire la via alle riforme fondamentali che dobbiamo fare comunque e subito. L’ultima volta che abbiamo tentato di riformare la Costituzione prima di questa riduzione dei parlamentari è stato con un referendum nel quale si è messa in discussione tutta una serie di punti della Costituzione, tra cui in particolare il titolo V sui rapporti tra Stato e Regioni. Con un quesito assolutamente incomprensibile e che a mio avviso inficiava in radice la possibilità del referendum, che è la forma più emblematica di democrazia diretta, ma che non può funzionare quando l’appello al popolo non si sa bene che contenuto abbia. Tanto più che in quel caso c’erano troppe indicazioni e stimoli di carattere politico che trasformarono il referendum in una contesa politico elettorale. L’allora premier disse: “se va male me ne vado” (poi rimase). La Costituzione, come lei dice giustamente, è l’ossatura del nostro ordinamento, ma è molto difficile modificarla in queste condizioni. Perché c’è la tentazione di cambiarla ad ogni pie’ sospinto o di far finta di cambiarla per poter dare sostegno all’una o all’altra scelta politica. La Costituzione però è qualcosa di troppo importante, da tenere da conto; ed è tuttora molto attuale. Si dice che sia vecchia ma io non direi; è attuale invece, ma non è attuata. D’altronde ci stiamo avviando verso una “democrazia diretta” (per cui è stato addirittura istituito un ministero) ma non sappiamo né ‘da chi è diretta’, né ‘dove è diretta’”.

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