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Contro il Covid

Prof. Clementi, San Raffaele: vaccino ai guariti e immunità di gregge

Cosa deve fare chi si è già ammalato ed è guarito? Che rischi corrono le donne in gravidanza? E cos’è il «patentino anti-Covid»? Ecco le indicazioni

Prof. Clementi, San Raffaele: vaccino ai guariti e immunità di gregge

«Sarà più urgente vaccinare chi non ha avuto il Covid perché non è immune». Così il commissario straordinario, Domenico Arcuri, che è intervenuto su un tema molto dibattuto: chi è stato contagiato e si è ammalato dovrà sottoporsi a vaccinazione anti Covid, una volta che questa sarà disponibile per tutti? Lo stesso Arcuri ha però precisato: «Il periodo di immunità si concluderà e quindi sarà ragionevole che siano vaccinati anche loro (i guariti, NdR). Ma non saranno i primi e neppure i secondi». Si calcola, infatti, che siano 850mila gli italiani guariti da coronavirus dopo tampone positivo: un numero che però potrebbe essere anche 5 o 6 volte superiore perché non tiene conto di quanti si sono infettati e curati, ma senza sottoporsi alla conferma del tampone. In alcune zone, infatti, si è ammalato il 40% della popolazione. Queste persone dovrebbero, quindi, vaccinarsi? Quando e con quale vaccino tra quelli disponibili, o con quante dosi? Sarà raccomandato vaccinarsi anche per le donne in gravidanza? E di potrà raggiungere una «immunità di gregge»?


Ecco cosa risponde il prof. Massimo Clementi, Direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell'Ospedale San Raffaele di Milano.


Professore, il numero di persone che potenzialmente dovrebbe sottoporsi a vaccino è molto elevato. Considerando solo chi si è ammalato, come fare a capire se sia il caso di ricevere il vaccino? Possono essere utili i test sierologi per verificare la copertura immunologica?


Massimo Clementi: «Una valutazione sierologica, dopo la vaccinazione, può essere utile per rendersi conto di come rispondono le categorie di soggetti, anche in base alla loro età e condizione clinica, ma i test non sono obbligatori. Quanto alla vaccinazione per chi è già stato colpito dal virus, io ritengo che sia opportuna proprio perché non tutte le persone rispondono alla malattia nello stesso modo dal punto di vista immunitario. Va anche tenuto conto che la malattia Covid presenta una differenza rispetto ad altre che conosciamo: secondo gli studi condotti finora, la risposta immunitaria data dal vaccino è migliore rispetto a quella della malattia, specie per gli anziani. Questa è una novità, vale sia per il vaccino di Pfizer sia per quello di Moderna, e significa che la vaccinazione sarà presumibilmente molto utile».


Il primo disponibile sarà il vaccino di Pfizer, somministrato prima alle categorie a rischio (sanitari, anziani, ospiti delle Rsa), ma come scegliere poi il tipo di vaccino, quando ce ne sarà più di uno a disposizione?


Massimo Clementi: «Ritengo che la scelta sarà dettata soprattutto dalla disponibilità dei prodotti. I primi due vaccini – Pfizer e Moderna – sono sovrapponibili come tempistica e anche simili come tipologia: entrambi si basano sull’m-Rna (l’Rna messaggero), cioè su una particella che veicola l’Rna del virus all’interno della cellula. Gli altri sono molto più simili a quelli “tradizionali”: funzionano utilizzando il virus “ucciso” dunque inattivo oppure che sfruttano una subunità proteica. Per esempio il vaccino russo Sputnik è analogo a quello di AstraZeneca, con la differenza che è entrato in uso senza aver completato la fase 3 di sperimentazione, quindi non so se sarà adottato in Europa. In ogni caso si seguirà soprattutto il criterio della priorità ed immaginabile che inizieremo a poterlo somministrare a ridosso dell’estate, procedendo con una campagna di vaccinazione estivi e autunnali».


L’americana Moderna afferma che due dosi garantiranno una copertura di 3 mesi. La rivista Science parla di immunità da 3 a 6 mesi. Possiamo quindi immaginare che dopo un lasso di tempo variabile ci saranno dei richiami, sia per questo vaccino che per gli altri in via di ultimazione e commercializzazione?


Massimo Clementi: «Sì, è ipotizzabile che ci sia la necessità di richiami, anche se questa eventualità segue un criterio di massima prudenza, per avere la migliore copertura immunitaria possibile. Per valutarla si considera la quantità di anticorpi che un soggetto sviluppa, ma è possibile che ci sia immunità anche se questi si abbassano sotto le soglie standard considerate, insomma che le persone siano comunque immuni».


A proposito di prudenza, parliamo delle donne in gravidanza, che in questi mesi possono nutrire timori, sia per la malattia sia per il vaccino. E’ opportuno che vi si sottopongano, quando sarà disponibile?


Massimo Clementi: «Al momento non sappiamo ancora con esattezza quali saranno le indicazioni definitive. L’orientamento è che non ci siano controindicazioni, anche se in generale sarebbe bene evitare vaccinazioni di qualsiasi tipo in gravidanza».


È ipotizzabile pensare che ci sarà una “patente d’immunità” per vaccinati, come lascia intendere il Commissario Arcuri?


Massimo Clementi: «La certezza al 100% di non ammalarsi non esiste, ma penso che se raggiungeremo il 70% della popolazione immunizzata, a prescindere dal tipo di vaccino che sarà utilizzato, potremo contare su un’immunità di popolazione che impedirà al virus di circolare e di cui potranno godere tutti, anche coloro che saranno stati meno disponibili nei confronti della vaccinazione stessa».


Quindi lei crede che si potrà raggiungere l’immunità di gregge nell’arco di qualche tempo, proprio grazie al vaccino?


Massimo Clementi: «Sì, anche se io preferisco parlare appunto di immunità di popolazione. Potremo averla e sarà un beneficio per tutti perché si raggiunge già, per esempio con il virus influenzale, nonostante il vaccino antinfluenzale sia più datato e meno efficace: protegge al 60/70% i soggetti vaccinati, eppure riusciamo a contrastare la malattia che è a trasmissione aerea come per il Sars-Cov2. In generale sono ottimista sull’esito della vaccinazione, nonostante qualche dubbio sul fatto che si possa raggiungere il 70% della popolazione, che è una quantità importante, perché è evidente che da qualche anno a questa parte stiamo registrando una certa sfiducia nei confronti delle vaccinazioni. Mi auguro, invece, che prevalga la fiducia».

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