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Roma, un’alleanza Pd-Cinquestelle sarebbe un boomerang per i dem

Appello all’unità? Dopo l’esperienza Raggi difficile per il segretario Zingaretti spiegare agli elettori della Capitale la scelta di correre con il M5S

Roma, un’alleanza Pd-Cinquestelle sarebbe un boomerang per i dem

L’appello all’unità di queste ore del leader dei dem Zingaretti lascia il tempo che trova. Non è facile ricomporre le divisioni in atto, non solo all’interno del centrosinistra, ma anche nella maggioranza che guida il Paese. Che, anzi, sono esplose più forti adesso che bisogna scegliere i candidati nelle Regioni che andranno al voto il prossimo 20 settembre. E che pure toccano i rinnovi di consigli comunali e di sindaci di città importanti il prossimo anno. Le due partite sono collegate, oltre che vicine in ordine di tempo. Soprattutto ci sono città, come Roma, in cui il Pd rischia di fare scelte sbagliate in nome dell’unità. E che potrebbero costare caro. L’ostinazione di Virginia Raggi a ricandidarsi per un mandato bis rappresenta un ‘nodo’ per i rapporti futuri rapporti Pd-M5S.


Il perché è presto detto. Le affermazioni del leader democratico secondo il quale “sarebbe ridicolo governare insieme quattro anni l'Italia ma non una Regione o un Comune”, nella capitale d’Italia, proprio per il Pd, sarebbero di ardua applicazione. Oltre che un boomerang. Se il M5S davvero dovesse appoggiare la ricandidatura della sindaca uscente, per i democratici dare il loro appoggio sarebbe un suicidio annunciato. Una scelta che difficilmente l’elettorato dem capirebbe. E che farebbe crollare la roccaforte romana, più che nel 2016. La vittoria di quell’anno dei 5S non fu solo frutto di un voto verso il rinnovamento promesso dai grillini della prima ora, ma anche un voto di protesta nei confronti della nomenclatura romana dei democratici, di cui Giachetti era espressione.


Roma da quattro anni è una città che vive nell’immobilismo amministrativo e decisionale. L’incapacità a gestire il quotidiano – sul problema dei rifiuti non se ne viene a capo e la mobilità continua ad essere la ‘croce’ dei romani (e l’Atac è sempre sull’orlo del tracollo) – si associa all’assenza di una ‘visione’, di un progetto capace di proiettare la capitale d’Italia nel futuro. Ponendola sullo stesso piano delle altre capitali europee. In tutto questo, il Pd non ha brillato all’opposizione. Nemmeno alzando la voce quando avrebbe dovuto. E ancor meno da quando è al Governo con l’alleanza giallorossa.


È vero che i democratici avrebbero già bollato l’esperienza della Raggi come "fallimentare". Ma è anche vero che il problema non è solo la sindaca. Perché è il Movimento Cinquestelle ad aver fallito insieme a lei. E un eventuale apparentamento non sarebbe, certo, un segno di discontinuità e di rottura col passato. Sembrerebbe, tuttavia, che Zingaretti stia lavorando a un nome ‘nuovo’. Non è da escludere l’ipotesi che i dem corrano da soli al primo turno per poi ricompattarsi con altre forze al ballottaggio. Ma di nomi noti non ce ne sono. I big tirati in ballo qualche giorno fa – sono circolati i nomi di Enrico Letta e David Sassoli – non sarebbero propensi a scendere nell’agone capitolino.


E poi c’è la Regione Lazio dove una sorta di pax zingarettiana tra Pd e 5S regge i rapporti di forza. Il segretario dem e presidente della Regione, poco propenso inizialmente ad aperture verso i pentastellati ha cambiato rotta: un po’ per una questione di numeri, un po’ per coerenza con il Governo nazionale. Pax di una Regione politicamente dormiente. Che forse non è proprio un esempio da replicare. Tanto meno al Comune di Roma.

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