Vertice europeo sui fondi, l’Italia a caccia dell’intesa.

Al centro del summit anche il ruolo del Consiglio sui Piani nazionali. Conte: “niente veto ma doppia maggioranza”. Decisivo l’asse Merkel-Macron-Michel

Vertice europeo sui fondi, l’Italia a caccia dell’intesa.

Non è una passeggiata, piuttosto una salita irta di ostacoli e insidie. La partita che si apre oggi a Bruxelles in seno al Consiglio europeo, chiamato a decidere sulla proposta di Recovery fund della Commisisone europea, è davvero difficile. E non è detto neanche che sia risolutiva. Per il premier olandese Mark Rutte le possibilità di un accordo sono “sotto il 50%” e insiste: “Riforme in cambio di risorse comuni”. Un incontro che anche il presidente belga del Consiglio Europeo, Charles Michel, questa mattina definisce “difficile”, consapevole che per sbrogliare la matassa sia necessaria una buona dose di “coraggio politico”.

 

Ieri sera l’incontro tra il premier Giuseppe Conte e il presidente francese non è andato male ma neanche benissimo. Roma vuole portare a casa due risultati: che il fondo da 750 miliardi rimanga invariato con i 500 miliardi a fondo perduto e che non ci siano obblighi di riforme strutturali. Ma da qualche giorno si è aggiunto un terzo tassello da mettere a posto, che è quello del ruolo futuro di controllo e di vigilanza del Consiglio Europeo. Michel vorrebbe che il potere di approvazione dei Piani nazionali predisposti dai singoli Paesi membri per l’accesso ai fondi passassero dal Consiglio che presiede, con ovvia possibilità di veto. Ipotesi che vede la contrarietà dell’Italia ma il favore della Francia. Macron pur condividendo la necessità di giungere a un accordo in “tempi rapidi” e di non toccare il budget del Recovery Fund, non esclude affatto un ruolo decisivo in futuro del Consiglio europeo. 

 

Ma la trappola è dietro l’angolo. Conte conosce i rischi di una governance dei fondi in mano a un organismo che riunisce sì tutti i capi di Stato e di Governo ma che deciderebbe per consenso o a maggioranza qualificata. Dando potere di veto ai Paesi ‘rigoristi’ del Nord – Olanda in testa, seguita da Austria, Finlandia e Svezia. Piccoli, ma in grado di alzare muri invalicabili e di bloccare progetti e fondi anche di Paesi da 60 milioni di abitanti come L’Italia. La proposta di Roma è, dunque, un’altra. Niente diritto di veto e decisioni a doppia maggioranza: 65% della popolazione e 55% dei Paesi membri. Ma le differenze permangono. La Germania sembra più propensa ad allinearsi con Michel e Macron. 

 

Resta il problema di come dilazionare le risorse che sono agganciate al Bilancio europeo 2021-2027. L’Italia preme per accedere più rapidamente possibile ai fondi del Recovery Fund. Il problema è iniettare liquidità nelle casse dello Stato. Grazie alla Banca Centrale europea tutti i titoli di debito aggiuntivi collocati sui mercati per via della pandemia in qualche modo vengono assorbiti. Ma ci sono segnali che danno il rendimento dei titoli italiani particolarmente basso in questi giorni. E non è detto nemmeno che la Bce possa continuare ad acquistare titoli all’infinito. Tenendo conto che il Recovery Instrument prevede che anche l’Ue emetta dall’anno prossimo titoli di debito, i famigerati eurobond. Il tempo è davvero denaro.

 

Conte nelle ultime settimane ha lavorato per rafforzare i rapporti con i Paesi del Sud volando a Madrid e Lisbona per incontrare i premier di Spagna e Portogallo. Fare squadra è utile. Ma alla fine sarà il ritrovato asse franco-tedesco insieme alla sponda di Charles Michel ad essere determinate sul fronte della diplomazia. Il capo dell’Eliseo ha fatto sapere che: “Con la cancelliera Merkel e il presidente del Consiglio Europeo faremo di tutto per arrivare ad un accordo sull'Mff 2021-27 (il Piano finanziario pluriennale ndr) e sul Recovery Plan”. Per l'Europa, ha detto, “è il momento della verità".

 

Senza dubbio l’Italia ha avuto finora l’appoggio, seppur non incondizionato, di Germania e Francia. Ma ora contano i risultati. Il summit europeo ha una doppia valenza per Conte. Da un lato c’è il fronte europeo, dall’altro quello interno. Con una maggioranza troppo spesso litigiosa, la crisi economica che incombe sul Paese e i conti pubblici che hanno bisogno di nuova linfa, Palazzo Chigi non può attendere. Si prospetta un ‘autunno caldo’ e Roma ha bisogno di un’intesa. 

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