Mes, nessuna risposta da Palazzo Chigi al pressing di Zingaretti

Nel Governo è il ministro dem all’Economia Gualtieri a offrire una sponda al leader del Nazareno. Da Conte nessun cenno. Salvini insiste: “Avanti con i Btp”

Mes, nessuna risposta da Palazzo Chigi al pressing di Zingaretti

***Fondi Mes governo ultime notizie 30 giugno:

 

Mentre Salvini lancia la proposta di investire sui Btp e invita ad accantonare definitivamente l’ipotesi di attivare il Mes, il ministro dell’economia Gualtieri insiste: “Con il Meccanismo di stabilità verrebbero risparmiati 5 miliardi in 10 anni”. E invita a fare “scelte razionali”. Il titolare di via XX Settembre non rinuncia a dire la sua in questi giorni infuocati di dibattito sul Fondo Salva Stati, che per l’Italia mette a disposizione 37 miliardi da utilizzare subito per ‘spese dirette e indirette nella sanità’. Ma se Gualtieri affronta l’argomento, Conte tace. Tant’è. Il pressing di Zingaretti sul premier per sbloccare il nodo Mes non sta funzionando. A colpi di lettere e dichiarazioni a mezzo stampa il leader dei dem ha provato a far uscire allo scoperto il premier. “Il Governo non può più tergiversare, sul tavolo risorse mai viste”, ha tuonato. Ma da Palazzo Chigi nessuna risposta.

 

 

“Il Piano per la Ripresa l’Italia lo presenterà a settembre. Il Governo vuole farsi trovare pronto all’utilizzo delle risorse europee”. Nel corso dell’informativa al Senato, Giuseppe Conte, illustra le intenzioni dell’esecutivo in vista del Consiglio europeo di dopodomani. Quando i capi di Stato e di Governo dei 27 Paesi dell’Ue si riuniranno per discutere del Recovery Plan, presentato lo scorso 27 maggio dalla Commissione. Settecentocinquanta miliardi che la presidente Ursula Von Der Leyen ha ‘agganciato’ al Bilancio pluriennale 2021-2027. Prevedendo per la prima volta nella storia dell’Unione l’emissione di obbligazioni proprie: 500 mld da destinare agli Stati sotto forma di sovvenzioni e 250 come prestiti. I famigerati eurobond.

 

Invita “alla coesione nazionale per superare le sfide Ue” il presidente del Consiglio. Parla di fondi europei ma non cita quelli che potrebbero arrivare dal Mes. La linea di credito attiva già dal 1 giugno che il Meccanismo di Stabilità mette a disposizione dei Paesi dell’eurozona “per sostenere i costi diretti e indiretti relativi alla cura e alla prevenzione dovuti alla crisi sanitaria causata dal Covid 19’’. Duecentoquaranta miliardi in tutto, di cui 37 pronti per l’Italia - pari al 2% del Pil risultante a fine 2019 – che potranno essere restituiti in dieci anni e a tassi di interesse bassissimi. Ma l’Italia ancora non ne ha fatto richiesta. E se lo farà non accadrà in tempi brevi. L’argomento è quasi un tabù nella maggioranza. O meglio nei Cinquestelle. Prendere tempo per Conte e rinviarne la discussione in questo momento è fondamentale.


L’ala antieuropeista, fedele al Movimento della prima ora, da sempre diffidente verso Il Mes (o Fondo Salva Stati) spinge per non accedere a quel salvadanaio. L’esperienza della Grecia che fu costretta a tagli pesantissimi per volontà della Troika e in osservanza alle ‘condizionalità’ imposte allora, pesa ancora. Più possibilista e aperta l’ala governista di Di Maio e dei ministri. Ma l’argomento in questo momento così complicato dei Cinquestelle rischia di far saltare una tregua apparente tra opposte correnti.


Conte perciò rinvia, non rischia, cerca col tempo un accordo. E concentra l’attenzione sul Recovery Fund della Commissione europea. La strategia è chiara. L’accesso a quei fondi non crea scompiglio all’interno della maggioranza e rappresenta una reale ancora di salvezza. Anche se con dei limiti. Il primo è che quei fondi non partiranno subito. Ma bisognerà attendere il 2021. Il secondo riguarda la capacità dell’Italia di presentare piani e programmi credibili per accedere a quelle risorse e per mettersi in grado di spenderle negli ambiti e nelle materie indicate dalla Commissione. Prima verranno presentati i progetti, prima il Paese potrà accedere a quei finanziamenti. E l’Italia ne ha un disperato bisogno. C’è però uno scoglio da superare. Nelle sedi europee è ancora in atto la spaccatura tra Paesi del Nord, i cosiddetti ‘rigoristi’, e quelli del Sud – Italia in testa - appoggiati da Francia e Germania. Merkel e Macron sono stati i veri autori e promotori della proposta Von Der Leyen. Ma ancora non sono stati in grado di sopire le rimostranze di Olanda, Austria, Svezia e Finlandia.


Le due anime della forza che in questo momento ha più parlamentari di tutte agitano anche la maggioranza. Il Pd preme perché si acceda alle risorse messe a disposizione dal Mes praticamente a costo zero. Ma sa che il campo è minato. Mentre l’opposizione, frammentata oggi in Aula, ritrova l’unità quando mette il dito nella piaga, ovvero le divisioni dei 5S e quelle tra il partito di Di Maio e il partito a guida Zingaretti. Ma dalla giornata in Aula è emerso un altro aspetto. Il senatore Monti, già commissario Ue, ha sottolineato che la decisione di “derubricare da 'comunicazioni' a semplice 'informativa' l'intervento del presidente del Consiglio in Parlamento in vista del Consiglio europeo del 19 giugno viola la lettera e lo spirito della legge 234 del 2012”. “Il Governo da me presieduto”, ha spiegato l’ex presidente del Consiglio “presentò il disegno di legge citato introducendo l'obbligo per il presidente del Consiglio di raccogliere l'indirizzo del Parlamento prima dei Consigli europei perché avevo visto come la cancelliera Merkel in vari Consigli si facesse forte del fatto che il suo Parlamento le avesse legato le mani preventivamente”. Per Monti proprio in vista di un “Consiglio rifondativo come quello del 19 giugno, l'Italia avrebbe avuto un potere negoziale più forte, se il presidente Conte avesse guidato e poi cavalcato una risoluzione parlamentare ambiziosa e rivolta al futuro.”

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