Un rimpasto allunga la vita

Un rimpasto non si nega a nessuno specie se allunga la vita al governo

Pd e M5S alla prova delle urne. Qualunque sia l’esito di referendum e regionali per il premier Conte l’imperativo è ridurre al minimo l’impatto del voto.

Un rimpasto non si nega a nessuno specie se allunga la vita al governo

Che la fiducia reciproca tra i due principali azionisti della maggioranza di Governo non fosse alle stelle era chiaro da tempo, ma adesso che tutti scaldano i motori in vista dell’esito delle elezioni di domenica prossima e del referendum i rapporti sono ancora più incerti. Con evidenti ripercussioni sul Conte II. Il premier finora ha mantenuto ogni distanza possibile dal dibattito politico, senza mai scendere nell’agone della competizione elettorale. Ma le magagne con il voto verranno a galla e anche l’inevitabile resa dei conti. Due i fatti politici di rilievo da cui sarà difficile prescindere per i nuovi equilibri di forza tra alleati di Governo. 

 

La partita dei Cinquestelle

Il Movimento di Beppe Grillo in tutte le Regioni chiamate al voto viene dato in caduta libera, i numeri attuali sono ben lontani dal consenso di cinque anni fa. I grillini stavolta non reggeranno la prova. Dove corrono da soli, nessun candidato è in lizza per la poltrona di governatore. E persino in Liguria, unica regione dove si presentano insieme ai dem, Sansa insegue ma non raggiunge il favorito Toti. Da un pezzo i vertici nazionali del partito sono entrati in una sorta di ‘silenzio elettorale’ e hanno smesso di parlare delle regionali. L’attenzione è tutta sul referendum costituzionale e sul taglio del numero dei parlamentari, unica battaglia politica sui cui poter contare. Ma nelle ultime settimane il terreno è diventato scivoloso anche in quella parte di campo. Perché l’atteso plebiscito sul Sì non ci sarà. La vittoria è certo molto probabile, ma è altrettanto probabile che i numeri non saranno quelli che Di Maio and co si attendono. I No stanno raccogliendo più sostenitori di quanto fino a qualche settimana fa fosse possibile prevedere. Le ‘fragilità ‘ della riforma e il bisogno dei necessari correttivi istituzionali mietono dubbi persino nei più convinti fautori del Sì della prima ora. Per il Movimento una vittoria di misura sarebbe una vittoria a metà. Destinata ad agitare ulteriormente le acque all’interno di un partito che da mesi sembra allo sbaraglio. Con inevitabili ‘subbugli’ tra le anime ‘governiste’ che Di Maio vuole a tutti i costi ricompattare in vista di una sua leadership, e quella che fa capo a Davide Casaleggio. Se non porta a casa numeri convincenti sul referendum il Movimento sarà anche un alleato di Governo più debole, destinato a veder ridimensionato se non il numero di ministri, di sicuro il peso politico a Palazzo Chigi.

 

I problemi del Pd

ll Pd di Zingaretti nella sfida elettorale delle regionali è sicuramente più esposto. E si presenta come “unico baluardo contro l’avanzare delle destre”. Il segretario ha rivendicato questo ruolo e, se dovesse riuscire a non perdere la Toscana e la Puglia, lo rivendicherebbe ancor di più, e a gran voce, cercando di riscuotere quello che fino ad oggi gli è stato negato da Conte e dai grillini. Nonostante gli ultimatum a mezzo stampa rivolti ai suoi alleati nelle ultime settimane – più volte ha detto “basta con i se e con i ritardi” - il leader del Nazareno è rimasto schiacciato dall’asse premier-5S. Subendo stop e dietrofront che lo hanno messo parecchio in difficoltà: vedi la modifica dei decreti sicurezza, la riforma elettorale e la scuola. La morsa del patto di governo ha anche spinto il segretario a una mossa che davvero gli può costare caro: il Sì al referendum.

Dopo aver votato 3 volte No in Parlamento e solo una volta Sì – a governo giallorosso formato – Zinga ancora una volta si è allineato ai 5S compiendo una scelta pseudo-strategica ma rischiosa. E che, in ogni caso, è risultata divisiva sia tra gli elettori che nel partito, aprendo il varco a una lotta per la successione nata in sordina ma che ora è più palese. Con il presidente della Regione Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, in pole position. Dalla segreteria però preparano già la strategia post election day. Se la Puglia, ma soprattutto la Toscana, resteranno al centrosinistra, il ‘tagliando’ al Governo si farà. E in caso di sconfitta? Il vice segretario Andrea Orlando sembra chiederlo a prescindere. 

 

 

Il triangolo Conte-Pd-M5S

Le difficoltà interne che Pd e Movimento Cinquestelle vivono in questa fase fanno gioco al premier. Più i due maggiori partiti di Governo sono vulnerabili e la loro leadership indebolita, più nel triangolo Conte-Pd-M5S è il capo di Palazzo Chigi ad avere la bussola. Il premier, inoltre, ha due carte da giocare a suo favore.

  • La prima è una mancanza reale di alternativa al suo Governo.

  • La seconda riguarda la sfida più importante che il Paese deve affrontare adesso: risollevare l’economia e farlo spendendo fino all’ultimo centesimo dei fondi europei del Recovey Plan. Per seguire tutti passaggi dell’accesso ai 209 miliardi del Recovery Fund – stesura dei progetti, iter di approvazione e successiva realizzazione – serve un Governo e serve tempo. Conte eviterà in ogni modo che il voto su referendum e le elezioni lo coinvolgano. Ma delle conseguenze è inevitabile che ci siano. E se servirà il ‘tagliando’, ovvero il ‘rimpasto’ per tenere a bada un Pd recalcitrante che chiede di contare di più, anche quello si farà. Eventualmente con un ingresso diretto di Zingaretti nella compagine di Governo. Sempre sotto l’occhio vigile del Quirinale. E con l’indulgenza dell’opposizione. Salvini lo ha già detto. “In caso di vittoria non chiederò le dimissioni di Conte”.

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