Il referendum costituzionale

Referendum costituzionale, finita la fase della pacificazione sul ‘Sì’

Zingaretti detta le condizioni per il voto favorevole: legge elettorale e riforme dei regolamenti parlamentari. E nel centrodestra i dissidenti avanzano.

Referendum costituzionale, finita la fase della pacificazione sul ‘Sì’

Per votare Sì al referendum chiediamo una nuova legge elettorale e modifiche ai regolamenti parlamentari per scongiurare rischi di distorsioni nella rappresentanza e tutelare adeguatamente il pluralismo, i territori e le minoranze”. Nicola Zingaretti, segretario del Partito democratico, detta dalle pagine del Corriere della Sera le sue condizioni per il voto favorevole alla riforma della legge costituzionale che taglia di 345 unità il numero di deputati e senatori della Repubblica. Il leader Dem continua a volere il voto, almeno alla Camera, della riforma elettorale prima dell’election day del 20 settembre. E contestualmente chiede che si metta mano ai meccanismi che regolano dall’interno la vita del Parlamento. Comunque ribadisce: “il Sì al referendum è solo il primo passo, in sé insufficiente, di una riforma complessiva del bicameralismo e dell’insieme dell’attività legislativa”. 

 

Mancano poco più di tre settimane al referendum sulle modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Carta e la politica entra in subbuglio. Se il Pd alza la posta in gioco, rimettendo al centro del dibattito la riforma elettorale, barattandola con il Sì alla riduzione dei parlamentari, il timore che il sentimento dell’antipolitica si rinsaldi con la vittoria referendaria anima trasversalmente pezzi di centrosinistra e di centrodestra. Sulla legge di revisione costituzionale, approvata lo scorso ottobre dopo ben quattro passaggi parlamentari, due alla Camera e due al Senato - come prevede la procedura ‘aggravata’ necessaria quando si vuole cambiare la Costituzione - la ‘pax’ è durata poco. Nuovi posizionamenti o incertezze muovono i partiti. Fatta eccezione per i Cinquestelle, autori della proposta, e graniticamente decisi a portare a casa il risultato. In caduta libera in tutti i sondaggi sull’altro voto del 20 settembre, quello per il rinnovo dei consigli regionali, il Movimento vede nella vittoria referendaria una boccata d’ossigeno. Imprescindibile per mantenere la propria forza nella compagine governativa. 

 

A destra tra i più convinti sostenitori del taglio di 230 deputati e 115 senatori c’è Giorgia Meloni. Mentre Matteo Salvini fa i conti con qualche dissidente ‘vip’ della Lega – vedi Claudio Borghi che ha dichiarato: “il sì al referendum delegittima la politica” – conferma però (chissà quanto convintamente) il voto espresso in Parlamento. Gli azzurri di Forza Italia appaiono divisi tra favorevoli e contrari. Il partito lascia una sostanziale libertà di voto ai suoi elettori. A sinistra Leu mantiene la posizione sul No, Italia Viva sembra propensa a un Ni. Anche tra i costituzionalisti l’orientamento non è unanime. 

 

La parola definitiva spetta ai cittadini. Chiamati alle urne perché in seconda deliberazione al Senato la riforma non ha raggiunto la maggioranza qualificata dei due terzi. In quell’occasione Pd e Leu, all’opposizione del Governo Conte I, votarono contro e Forza Italia non partecipò al voto. Pur essendo stata approvata la legge non è stata promulgata direttamente e nell’arco dei tre mesi successivi, come previsto dall'articolo 138 della Costituzione, è stato possibile richiedere il referendum confermativo. Settantuno senatori il 20 gennaio di quest’anno hanno depositato la richiesta presso la Corte di Cassazione che ha dato il via libera alla consultazione popolare. La modifica su cui il corpo elettorale è chiamato a esprimersi è frutto a sua volta di un’ulteriore revisione degli articoli 56 e 57 - apportata con una legge costituzionale del 1963. E che fissò negli attuali 630 deputati e 315 senatori il numero dei parlamentari. 

 

Negli ultimi anni si è più volte discusso della riduzione dei rappresentanti in Parlamento e del taglio dei costi della politica. Ma è stato poco approfondito, e lo è tuttora alla vigilia del referendum, l’aspetto della rappresentanza - con la riforma avremo un deputato ogni 151 mila abitanti, diventando il Paese con meno rappresentanti in proporzione alla popolazione – e quello relativo alla riforma costituzionale del bicameralismo perfetto. Resta perciò aperto il tema dei correttivi istituzionali. E del taglio delle poltrone, che non passa solo da Palazzo Madama o da Montecitorio.

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