Fortunatamente si potrà fare ricorso contro la decisione della Commissione contenziosa di annullare la delibera con cui due anni fa il Consiglio di Presidenza del Senato aveva ridotto i vitalizi degli ex senatori. Ma il caos di queste ore poteva essere evitato se fin da subito si fosse deciso di adottare gli stessi provvedimenti con una legge ad hoc. E se si fosse stati più meticolosi nel metodo e nel merito. Non ricorrendo a una delibera interna al Senato. Contro la quale, dal 2018 sono fioccati ricorsi – più di 700 - davanti all’organo giurisdizionale di primo grado di Palazzo Madama. Appunto, la Commissione contenziosa. E’ il cosiddetto principio dell’auodichia, la facoltà di cui godono alcuni organi costituzionali, in primis i due rami del Parlamento, di decidere autonomamente su impugnazioni contro i propri atti amministrativi.
I vitalizi sono stati aboliti nel 2011 per i nuovi parlamentari in carica dal 2013. Ma il 16 ottobre del 2018, per volontà di 5S e Lega, anche al Senato - a Montecitorio il via libera era già stato dato - si decise un ricalcolo su base contributiva (non più quindi retributiva) e retroattivamente dei vitalizi degli ex senatori. In quel momento - probabilmente per non attendere l’iter ordinario di una legge specifica, e nella fretta di conseguire un risultato politico più volte annunciato come priorità dalla maggioranza gialloverde – si scelse di rimodulare gli assegni degli ex senatori con delibera del Consiglio di Presidenza. Ma si sa, la fretta è nemica della perfezione. E quella delibera ha sempre lasciato dubbi sul piano costituzionale. Specie per il calcolo retroattivo con il contributo e in merito ai diritti acquisiti che verrebbero meno. E’ su questo punto che i ricorrenti hanno avuto gioco facile.
Adesso, in quanto norma interna, giudice di secondo grado è il Consiglio di Garanzia di Palazzo Madama. Manlio Di Stefano, sottosegretario agli Esteri per il M5S già avverte: "Per fermare il ripristino dei vitalizi non servono piazza o raccolta firme, basta che la scelta sia impugnata davanti al Consiglio di Garanzia che è composto da 5 senatori di Lega, PD, FI e FdI. Zingaretti, Salvini, Meloni e Berlusconi diano questa indicazione ai loro". Ma il pasticcio resta. Non a caso esulta Antonello Falomi, presidente dell’Associazione ex parlamentari, senatore per tre legislature e una passata alla Camera, tra Pci e Rifondazione, che ha dato battaglia fin dall’inizio perché gli assegni degli ex parlamentari non fossero toccati. E che oggi ha da festeggiare. “Quella delibera era oggettivamente scritta e pensata male”, ha dichiarato, “figlia più della propaganda politica che delle leggi dello Stato e della Costituzione".
Non commenta il suo voto il professore Dalla Torre, tra i membri ‘tecnici’ della Commissione contenziosa. Già rettore dell'Università Lumsa e ex presidente del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano, è tra coloro che hanno votato per fermare la delibera sui tagli. E mentre la maggior parte dei partiti grida alla ‘scandalo’ e approfitta dell’argomento – ideale- per fare propaganda, a non meravigliarsi di quanto accaduto è Luca Zaia. L’esponente leghista e governatore del Veneto dice: “Non penso che si possa parlare di sorprese. Sapevamo tutti che sarebbe andata a finire così. E' la storia dei diritti acquisiti e, se non con sentenze di alto valore, da questa dinamica non ne verremo mai fuori”. Speriamo che si sbagli.