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Carlo Bonomi: imprese, lavoro e battaglie civili da fare

Il nuovo presidente di Confindustria Carlo Bonomi ex Assolombarda ha stravinto, ora la sfida più dura per rilanciare la seconda manifattura d'Europa

Carlo Bonomi: imprese, lavoro e battaglie civili da fare

Carlo Bonomi è stato eletto presidente di Confindustria con il doppio dei voti della sua competitor (Mattioli) quasi negli stessi giorni in cui 46 anni fa, il 18 di aprile del 1974, venne eletto Giovanni Agnelli. Allora l’ex presidente di Assolombarda aveva otto anni, viveva con i genitori a Crema ed era un diligente alunno delle elementari. I tempi invece erano molto difficili allora, difficilissimi oggi. Il presidente della Fiat scendeva in campo direttamente come leader indiscusso dell’imprenditoria italiana, azionista e presidente della Fiat, di cui aveva assunto la guida proprio nel 1966 (anno di nascita di Bonomi) sostituendo Vittorio Valletta. Caso unico nella storia di Confindustria, resterà in carica solo due anni. Oggi vince l’imprenditore più piccolo, in termini di fatturato della sua azienda, che mai abbia guidato Confindustria, anche se i rappresentanti della piccola industria al vertice negli anni sono stati molti, da Luigi Abete, a Giorgio Fossa per finire con Vincenzo Boccia. 

 

Ma c’è una differenza: Abete e Fossa avevano avuto il sostegno determinante della stessa Fiat, allora ancora azionista fortissima di Viale dell’Astronomia, mentre Bonomi pur avendo l’appoggio iniziale e mai venuto meno dei grandi imprenditori milanesi, a cominciare da Marco Tronchetti Provera, Gianfelice Rocca o Diana Bracco, si è costruito pressochè da solo il percorso che l’ha portato alla testa dell’associazione che riunisce circa 160 mila medie, piccole e grandi imprese italiane. Pochi mesi dopo essere diventato presidente di Assolombarda, nel 2017, ha iniziato a girare l’Italia partecipando a moltissime assemblee delle associazioni territoriali, all’inizio quasi suscitando sorpresa e persino qualche sarcasmo. L’obiettivo, del tutto trasparente, era quello di cercare i consensi per trasferirsi a Roma. E consensi e alleanze hanno retto, molto più di quanto la gran parte degli oppositori sospettava. E magari gli è stato utile anche qualche collega con cui ancora una quindicina di anni fa giocava a calcio nella Nazionale di Confindustria, nella quale militavano diversi giovani imprenditori lombardi e diversi esponenti veneti da Renzo Rosso ad Andrea Tomat.

 

Ora la cifra della sua presidenza, e di conseguenza l’impatto e il ruolo di Confindustria nella drammatica crisi italiana (che è la somma dell’effetto coronavirus, meno 10 per cento di Pil previsti quest’anno, e dei mali storici che affliggono il Paese, in primo luogo debito e burocrazia), dipende esclusivamente da lui, visto che l’associazione degli imprenditori è una sorta di monarchia costituzionale dove il presidente dura in carica 4 anni, non è rieleggibile ma può decidere molto e ha intestate personalmente le azioni del Sole 24 Ore. Dipende da lui poichè la composizione della squadra dei vicepresidenti sarà fondamentale, perchè ci vorrà una classe dirigente all’altezza dei tempi, capace di dialogare proficuamente con un governo incerto e far sì che, accanto ai necessari interventi di emergenza, vi siano i germi di una ripresa reale della seconda manifattura d’Europa. Nominalmente infatti, Bonomi ne eredita la guida, ma quanti degli attuali 450 miliardi di export riuscirà il Paese a mantenere dopo almeno due mesi di blocco e mentre i concorrenti internazionali hanno continuato a produrre, con il rischio di venir sostituiti nelle filiere e quindi nella cosiddetta catena internazionale del valore?

 

In Italia di imprese con fatturati miliardari non ve ne sono poi moltissime, ma i loro titolari (si chiamino Ferrero o Cremonini, Lavazza o Salini, Barilla o Caltagirone, tanto per fare qualche nome) vanno coinvolti, va ripristinato il Direttivo che la estemporanea riforma Pesenti aveva accantonato relegando invece gli imprenditori più importanti in un Advisory Board le cui riunioni erano state subito disertate. L’unità storica di Confindustria tra piccoli medi e grandi va rinsaldata dunque con poche mosse, affinché l’associazione possa effettivamente parlare con una voce unica, non essere soltanto la rappresentanza dei più piccoli, e risultare perciò agli occhi dei politici meno rilevante in termini di consenso elettorale di commercianti, artigiani o coltivatori diretti. Bonomi deve darsi l’imprinting del playmaker, di chi sa far girare il gioco degli imprenditori, visto che l’Italia non potrà salvarsi  solo con il contributo a debito (se ci sarà) dell’Europa nè si possono mantenere a lungo le persone a casa senza avere le risorse enormi che servirebbero. L’unica via di salvezza è nella ripresa della produzione, ovviamente nella massima sicurezza sanitaria. E’ qui che si gioca la leadership del nuovo presidente e la tenuta della squadra che presenterà nelle prossime settimane, nonché il ruolo stesso di Confindustria.

 

Altrimenti, aver conquistato via dell’Astronomia con tenacia e nervi saldi anche di fronte a chi lo metteva in croce come piccolissimo imprenditore (tra l’altro del settore biomedicale, un’esperienza che oggi gli torna utile) che gareggiava con imprenditori molto più grandi di lui in termini di fatturato, non sarà servito ad evitare che Confindustria non venga marginalizzata proprio quando gli interessi generali del Paese coincidono perfettamente con quelli delle imprese. Anche con problemi di gestione interna rilevante, visto che molte aziende potrebbero non essere più in grado di pagare le quote associative.

 

Bonomi dunque dovrebbe schierare in tempi brevissimi un suo governo di “unità nazionale”, evitando le tentazioni del Nord a fare da sè e ponendo la sua Confindustria al centro del confronto con le istituzioni, pronto se necessario a fare la voce grossa, a mobilitare il popolo degli imprenditori anche in tempi di distanziamento pur di porre al centro le ragioni dell’impresa e dei suoi dipendenti e lavoratori. E pronto anche a combattere le battaglie civili che in questo paese dopo il coronavirus saranno necessarie non solo per fare impresa ma per tornare cittadini liberi, e non certo solo dall’obbligo di stare a casa. 

 

Il nuovo capo degli imprenditori, essendo persona con i piedi per terra ma capace di pensare in grande (lo ha dimostrato con la sua candidatura) queste cose le sa e con la sia squadra ha il rilevantissimo tema di riuscire a  metterle a terra in tempo reale. Nella Prima Repubblica l’accordo sulla contingenza firmato dal suo predecessore Giovanni Agnelli con il segretario della Cgil Luciano Lama, resistette dieci anni prima di essere smontato da Craxi premier con il referendum che liberò, purtroppo solo per qualche anno, le potenzialità dell’industria italiana. Oggi la situazione è davvero seria, nessuno può aspettare non solo dieci anni ma nemmeno dieci settimane. (Ade)

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