La vittoria del sì

Referendum, vince il Sì: Di Maio e Zinga tirano un sospiro di sollievo

I Cinquestelle enfatizzano il responso delle urne e parlano di “vittoria del popolo”. Zingaretti frena le ambizioni dei suoi concorrenti per la leadership

Referendum, vince il Sì: Di Maio e Zinga tirano un sospiro di sollievo

Come era prevedibile il Movimento cinque stelle cavalca l’esito del voto sul referendum costituzionale. Quel 68% di Sì al taglio dei parlamentari è l’unica vittoria di un election day assai difficile per i grillini. E unico punto a favore sul piano politico per un Movimento che perde progressivamente forza nelle regioni, con percentuali in alcuni casi sconfortanti. Canta vittoria, perciò, Luigi Di Maio. L’ex leader – che tanto ex non sembra quando parla dalla Camera dei deputati per commentare il voto referendario – scandisce bene le parole e punta sulla “vittoria del popolo” che consentirà di “riavvicinare la politica ai cittadini”. “Una riforma che aspettavamo da trenta anni”, dice, e che “ci fa guadagnare credibilità internazionale”. Rivendica la paternità della proposta più volte. E cavalca ancora l’antipolitica, quella che - è convinto - ha vinto nelle urne. “Ora bisogna guardare avanti e cogliere le nuove opportunità anche per normalizzare gli stipendi dei parlamentari”, aggiunge. La vittoria è solo “un punto di inizio” per l’avvio delle riforme.

 

Zingaretti salva la sua leadership

Ma non è solo il M5S a tirare un sospiro di sollievo per il risultato del referendum. Sollevato è anche il leader dem Zingaretti che sul Sì ha puntato per salvare il patto con i Cinquestelle e per tenere in piedi l’alleanza di Governo. A scapito di spaccature non da poco tra le file dei democratici. Dove persino big del calibro di Prodi, Veltroni, Bindi e Zanda hanno voltato le spalle alla linea del segretario e avallata dalla Direzione. Un rischio per Zingaretti che si è esposto non poco. In caso di sconfitta o di una vittoria si stretta misura, senza dubbio i suoi concorrenti per la leadership del partito gli avrebbero presentato il conto. “Siamo molto soddisfatti del risultato del referendum che è la conferma che il Pd è la vera forza di cambiamento e garante di un percorso di innovazione delle istituzioni”, commenta dal Nazareno. “Con la vittoria del Sì' si apre la stagione delle riforme e noi faremo di tutto perché sia così. Il No avrebbe bloccato la speranza di cambiare le istituzioni ma rappresenteremo le istanze di tante persone che hanno votato No, perché le sentiamo nostre”. Ora il segretario deve ricucire e unire ciò che il referendum ha diviso.

 

Il capogruppo della Lega a Montecitorio: “adesso sciogliere le Camere” 

Intanto, di “Parlamento sfiduciato” parla il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari. "I 5 stelle hanno chiesto il voto per il Sì, finalizzato ad avere istituzioni più efficienti con un Parlamento di solo 600 eletti. Il popolo sovrano ha scelto. Ora la logica conseguenza sarebbe che si sciogliessero le Camere per sperimentare finalmente l'efficienza conquistata con la riforma”, commenta. Molinari pone l’accento sul fatto che “sarebbe strano avere un Parlamento non in linea con la Costituzione nella sua composizione”. Ancora “più strano sarebbe pensare che un Parlamento sfiduciato dai cittadini possa scegliere il prossimo Presidente della Repubblica”. 

 

Leu: “Ora riforme ineludibili”

Per Loredana De Petris di Leu, presidente del gruppo Misto: “Il 30% di No dimostra che nel Paese c'è stata una discussione reale e che non c'è affatto una unanimità sostanziale”. Con la riforma “bisognerà mettere subito mano ad alcune riforme ineludibili. La prima è una nuova legge elettorale che impedisca una drastica decurtazione della rappresentanza sia politica che territoriale. La seconda è una revisione della platea degli elettori del capo dello Stato: in caso contrario il peso degli elettori espressi dalle Regioni verrebbe proporzionalmente moltiplicato a dismisura". E aggiunge: “bisogna affrontare il vero problema che impedisce al Parlamento di funzionare correttamente e di esercitare quella centralità assegnatagli dalla Costituzione: l'abuso costante della decretazione d'urgenza che con il voto di fiducia svuota il Parlamento delle sue funzioni legislative”. 

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