La trivella Ivana D

Greenpeace, l’appello: «Fermare le trivellazioni nei mari italiani»

Dopo aver visionato immagini satellitari, Greenpeace e Cova Contro parlano dell’impatto dell’affondamento della trivella croata nell’Alto Adriatico

Greenpeace, l’appello: «Fermare le trivellazioni nei mari italiani»

Smantellare le vecchie piattaforme, fermare le nuove trivellazioni” nei mari italiani. È questo il messaggio rilanciato da Greenpeace alla luce degli esiti di un’indagine sull’affondamento della piattaforma estrattiva di gas metano, l’Ivana D, avvenuto nell’Alto Adriatico lo scorso 5 dicembre. A condurre le ricerche sulle cause dell’incidente ambientale è stata l’associazione Cova Contro. Il dossier mostra come un potenziale impatto sia stato il rilascio di idrocarburi in un tratto di mare compreso tra Italia e Croazia.

 

“Volano trivelle” riapre il dibattito su utilità delle piattaforme

La piattaforma in questione era scomparsa – presumibilmente travolta da forti raffiche di vento– per essere poi ritrovata sul fondo del Mare Adriatico (a oltre 40 metri di profondità) pochi giorni dopo l’affondamento.

Partendo dalle immagini satellitari, scattate nelle ore successive all’incidente e fornite dall’ESA e Copernicus, Cova Contro ha mostrato la presenza di tracce rilevate dai sistemi satellitari di oil spill detection. “Dapprima vicine alle piattaforme, poi si disperdono verso le coste croate e italiane”, ha spiegato Alessandro Giannì, Direttore delle campagne di Greenpeace Italia. “Chiediamo alle autorità preposte di verificare quanto accaduto”, ha continuato, aggiungendo che quanto preme sapere è se ci siano stati “fenomeni di inquinamento a seguito dell’affondamento”.

Secondo “Volano Trivelle”, il briefing di Greenpeace, la piattaforma aveva raggiunto i limiti di operatività (20 anni) previsti nella fase di progettazione. Si tratta di un rischio di superamento della “capacità” degli impianti che mette a repentaglio molte altre stazioni offshore presenti nei mari italiani: non solo sono obsolete, ma per lo più inattive. Sono questi i motivi che spingono a richiederne l’urgente smantellamento. È il caso di quelle che non reggerebbero a fenomeni meteomarini (sempre più estremi) che la combustione di fonti fossili ha contribuito a generare, alterando il clima del pianeta.

 

 

Discussioni di anni (a cui hanno preso parte le amministrazioni, gli ambientalisti e i petrolieri) avevano dato segnali rassicuranti: il Ministero Sviluppo Economico, infatti, aveva stilato un elenco di 34 impianti da smantellare. Eppure, Greenpeace ha fatto sapere che quelle piattaforme ci sono ancora, mentre l’elenco sembra essere rimasto “chiuso in un cassetto e infine pubblicato dalle associazioni”, nel tentativo di far riemergere il caso.

 

Ivana D era ubicata al largo di Pola (Istria), tra le acque territoriali della Croazia e quelle dell’Italia. Le piattaforme del campo denominato “Ivana” sono 5. Mentre Ivana A ospita un equipaggio permanente, la D conferiva il gas verso la struttura madre, a sua volta connessa sia con l’Istria che con la piattaforma Garibaldi K dell’ENI in acque italiane. L’intero complesso è attualmente gestito dalla società petrolifera croata di Stato, l’Industrija Nafte che, nel 2018, ha acquistato dall’ENI il controllo dei giacimenti.

 

“Il gas è fuori gioco”: serve una norma che blocchi le estrazioni

Per Greenpeace, il quadro è allarmante. Ecco perchè oltre allo smantellamento delle piattaforme vecchie è necessario imporre un monitoraggio più efficace di quelle produttive e impedire la proliferazione delle trivelle, sia nell’Adriatico che in altri siti marini.

A febbraio scadono i termini della moratoria che ha congelato ogni nuova attività estrattiva e di ricerca negli ultimi due anni”, ha informato Giannì. “Greenpeace chiede una norma che blocchi ogni nuova attività estrattiva in acque italiane”. Parla poi di unarivoluzione energetica che renda questo Paese 100% rinnovabile (...)”, ricordando che si tratta di un percorso da intraprendere subito. Un concetto che si concilia con la strategia Ue di decarbonizzazione e la recente dichiarazione del Presidente della BEI, Werner Hoyer, secondo cui “il gas (fossile) è fuori gioco”: parole che hanno creato un ‘trending’ su Twitter e che in pochi click hanno raggiunto anche Joe Biden.

 

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