Lo stato di salute dell’economia

Fmi, preoccupano inflazione e strozzature catene di approvvigionamento

Kristalina Georgieva, l’economista bulgara al vertice del Fondo Monetario Internazionale, avverte sui possibili ‘maggiori venti contrari’ alla ripresa

Fmi, preoccupano inflazione e strozzature catene di approvvigionamento

Troppe le incertezze che dominano l’economia del pianeta dopo lo choc provocato dalla pandemia e dalla crisi economica. Oggi a mettere in guardia sui pericoli che corre la ripresa a livello globale è la direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale, Kristalina Georgieva. A preoccupare non sono solo i rischi legati all’inflazione ma anche le strozzature che si stanno creando nelle catene di approvvigionamento e le tensioni sociali che potrebbero sorgere nei Paesi più in difficoltà e costretti ad aumentare il debito, come quelli i via di sviluppo. “La ripresa” quest’anno avrà uno slancio più debole: ci “sono maggiori venti contrari”.

 

La situazione è complessa. Sul fronte dell’inflazione dagli Usa non arrivano buone notizie. Gli Stati Uniti stanno subendo un balzo inflazionistico come non si registrava da decenni. Le stime odierne parlano di un ulteriore rialzo dei prezzi al consumo. In dicembre sono saliti su base annua del 7%, ai massimi dal 1982.

 

L'aumento su base mensile è stato dello 0,5%, sopra le previsioni. Cifre che stanno inducendo la Federal Reserve ad un’accelerazione circa l’aumento dei tassi. Verrà infatti anticipato a marzo dopo che per più di un anno erano stati lasciati invariati per tenere basso il costo del denaro e favorire gli investimenti. Ma adesso Jerome Powell, fresco di riconferma alla guida della Banca centrale americana, ritiene che l’economia non abbia più bisogno di politiche espansive. Vedremo. Quello che è chiaro è che se le Banche centrali – la Bce ha un orientamento diverso in questo momento – cominceranno progressivamente a ridimensionare gli aiuti straordinari che si sono resi necessari per arginare i danni economici, il Fondo Monetario Internazionale è cosciente che dovrà fare uno sforzo in più per l’inevitabile scatto delle richieste di finanziamento.

 

Oltreoceano il quadro è davvero incerto. In Europa va leggermente meglio ma in ogni caso il caro vita resta un problema. Ieri l’Ocse ha registrato che nell’Ue l’inflazione a novembre si è attestata su un +4,9% contro il + 4,1% di ottobre. Cifre comunque alte e determinate anche da una dilatazione della domanda negli ultimi sei mesi cui non corrisponde un ampliamento dell’offerta. Sulla situazione generale iniziano ad incidere in maniera rilevante il caro energia e le difficoltà nel reperire alcune materie prime. Per tali ragioni diversi cicli produttivi potrebbero subire battute d’arresto.

 

Dall’altra parte del mondo, in Cina, nell’ultimo mese l’inflazione si è ridotta sensibilmente. A dicembre i prezzi al consumo hanno registrato un incremento su base annua dell’1,5%, cifre molto distanti dai picchi toccati nelle principali economie occidentali. In novembre il rialzo era stato del 2,3%. Ma su base mensile l’inflazione ha segnato un calo dello 0,3%, principalmente a causa della flessione del prezzo dei beni alimentari (-1,2% da +1,6% di novembre).

 

Anche nella potentissima economia cinese, che pure nel 2021 aveva registrato chiarissimi segnali di crescita – riaccendendo la speranza del governo di Pechino di scalare, con un certo anticipo rispetto alle previsioni, la vetta di prima potenza mondiale – le stime per il nuovo anno parlano di un rallentamento. Complice il tracollo di alcune società leader nel settore immobiliare, che rappresenta il 30% delle attività del Paese.

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