Il caso

Depistaggio sulla morte di Borsellino: niente condanna ai poliziotti

Prescritte le accuse nei confronti di due dei tre poliziotti coinvolti nelle indagini su via D’Amelio. Assolto il terzo agente. Cosa ha deciso il Tribunale

Depistaggio sulla morte di Borsellino: niente condanna ai poliziotti

Nessuna condanna. Si è concluso così il processo presso il Tribunale di Caltanissetta, che ha dichiarato prescritte le accuse contestate a Mario Bo e Fabrizio Mattei, due dei tre poliziotti accusati di avere depistato le indagini sulla strage di via D'Amelio del 1992, nella quale perse la vita il giudice Paolo Borsellino insieme agli agenti della scorta.

Assolto il terzo imputato, Michele Ribaudo. Presenti in aula anche i figli di Borsellino.

 

La sentenza: cosa ha deciso il Tribunale

In aula ad ascoltare la sentenza erano presenti anche i figli di Paolo Borsellino, Fiammetta, Lucia e Manfredi, che si sono costituiti parte civile i figli del giudice e da 30 anni chiedono di conoscere la verità sulla morte del padre. Al dibattimento hanno assistito anche il fratello del magistrato, Salvatore Borsellino, i figli della sorella Rita Borsellino, i familiari degli agenti di scorta, oltre ai sette innocenti, scagionati dopo il processo di revisione: Gaetano Scotto, Gaetano Murana, Natale Gambino, Salvatore Profeta.

 

Tra assoluzione e prescrizione

Tutti e tre i poliziotti erano imputati di calunnia aggravata dall'avere favorito la mafia. Il venire meno dell'aggravante ha determinato la prescrizione del reato di calunnia nei confronti di Mario Bo e Fabrizio Mattei. Michele Ribaudo, il terzo agente coinvolto, è stato invece assolto nel merito con la formula "perché il fatto non costituisce reato".

Secondi la Procura occorrerà attendere di conoscere le motivazioni della sentenza.

 

Le accuse mosse dai pm

La Procura aveva chiesto pene pesanti, oltre i 9 anni di reclusione, sostenendo che gli imputati, che appartenevano al pool incaricato di indagare sulle stragi del '92, con la regia del loro capo (all’epoca Arnaldo La Barbera, poi deceduto) avrebbero creato a tavolino i falsi pentiti Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura e Francesco Andriotta, imbeccandoli e costringendoli a mentire e ad accusare della strage persone poi rivelatesi innocenti. Per questo era stata formulata l’ipotesi di reato di calunnia. 

Secondo i pm le menzogne avrebbero coperto per anni le responsabilità dei clan mafiosi di Brancaccio e dei suoi capi, i fratelli Graviano. Per questo ai tre poliziotti la Procura aveva imputato l'aggravante di aver favorito Cosa nostra. Ma proprio l’aggravante non è stata riconosciuta e ha portato alla prescrizione del reato contestato a due dei tre imputati. 

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