crisi in medio oriente

Tensione Israele-Iran, i piani di Netanyahu e la mediazione di Biden

Gli Stati Uniti avrebbero dato il via libera all’offensiva israeliana nella Striscia di Gaza, in cambio di una rinuncia ad una ritorsione contro Teheran.

Tensione Israele-Iran, i piani di Netanyahu e la mediazione di Biden

In un contesto di crescente tensione tra Israele e Iran, fonti statunitensi hanno rivelato che è improbabile un’azione militare israeliana contro l’Iran fino al termine della Pasqua ebraica. Questa festività, nota come Pesach, inizia il 22 aprile e si conclude il 29. La decisione di posticipare qualsiasi azione bellica sembra essere stata influenzata da una conversazione tra il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Inoltre, secondo i media, ci sarebbe il consenso Usa ad un attacco israeliano su Rafah anziché su Theran.

 

Diplomazia e deterrenza

La Pasqua ebraica, periodo di riflessione e celebrazione, quest’anno si carica di un significato geopolitico inaspettato. Una fonte anonima americana ha comunicato all’emittente ABC che, nonostante le pressioni e l’allerta elevata tra i ranghi iraniani, Israele si asterrà dal lanciare attacchi contro l’Iran fino alla conclusione del Pesach. La stessa fonte ha lasciato intendere che gli scenari potrebbero evolvere rapidamente, ma per ora, la prudenza prevale. Il premier Netanyahu, dopo un dialogo con il presidente Biden, ha messo in pausa i piani di rappresaglia immediata, optando per una risposta più misurata e diplomatica.

 

Strategie e Conseguenze

Nonostante le intenzioni iniziali di una risposta rapida all’aggressione iraniana, Israele ha scelto la via della cautela. Secondo quanto riportato da Axios, diverse fonti israeliane e americane confermano il rinvio dell’attacco, precedentemente considerato “imminente”. Inoltre, una fonte egiziana ha suggerito al quotidiano ‘Al-Araby Al-Jadeed’ che gli Stati Uniti avrebbero accettato un piano per un’azione militare limitata a Rafah in cambio di un attacco contenuto all’Iran. Nel frattempo, la violenza continua a colpire i civili: sette persone, tra cui donne e bambini, sono state uccise in attacchi aerei a Rafah, nella Striscia di Gaza, aumentando l’urgenza di una soluzione pacifica.

 

Crisi umanitaria a Gaza: aiuti bloccati e fame diffusa

Nella desolazione del nord di Gaza, una tragedia umana si sta consumando lontano dagli occhi del mondo. Philippe Lazzarini, a capo dell’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ha portato all’attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una situazione disperata: neonati e bambini piccoli che muoiono per mancanza di cibo e acqua. Nonostante la disponibilità di risorse vitali oltre il confine, le autorità negano il permesso di passaggio, lasciando che vite innocenti si spengano in silenzio.

Lazzarini ha sottolineato la gravità del momento, ricordando che oltre 17.000 minori sono stati strappati dalle braccia delle loro famiglie, abbandonati a un destino crudele tra le rovine di Gaza. Ha poi lanciato un appello universale, esortando a non cadere nella trappola di scegliere da quale parte mostrare empatia, siano essi palestinesi o israeliani, abitanti di Gaza o ostaggi israeliani con le loro famiglie.

La Striscia di Gaza conta ormai 33.899 vittime dallo scoppio del conflitto, con un numero sproporzionato di bambini e donne tra le file dei caduti. Solo nelle ultime 24 ore, 56 persone hanno perso la vita sotto i colpi delle forze israeliane, mentre altre 89 sono state aggiunte all’elenco dei feriti, che ora ammonta a 76.664. Questi numeri, freddi e impersonali, non riescono a trasmettere il pieno impatto della crisi umanitaria che si sta svolgendo, una crisi in cui ogni cifra è una vita spezzata, un futuro negato.

 

Alll'ONU il voto sull'ammissione dello Stato di Palestina

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si prepara a deliberare su una decisione di portata storica: l'ammissione della Palestina come membro a pieno titolo dell'organizzazione internazionale. Secondo quanto riferiscono fonti diplomatiche, la riunione è fissata per venerdì alle 15, ora locale, e vedrà i quindici membri del Consiglio confrontarsi su una bozza di risoluzione che invita l'Assemblea generale delle Nazioni Unite a considerare l'ammissione dello Stato palestinese.

L'approvazione richiede almeno nove voti favorevoli senza veto da parte di uno dei cinque membri permanenti: Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Regno Unito. Tuttavia, nonostante le speranze dei sostenitori palestinesi, le prospettive di successo appaiono scarse. Gli Stati Uniti, secondo analisti, dovrebbero opporsi non perché si oppongono all'ingresso della Palestina, ma perché credono che il riconoscimento debba derivare da negoziati più ampi con Israele. Quest'ultimo, però, ha storicamente ostacolato qualsiasi dialogo su questo fronte. Tel Aviv ha reagito prontamente alla proposta, definendola una legittimazione dei palestinesi come "premio" dopo l'azione di Hamas avvenuta il 7 ottobre.

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