Il voto

Senato, passa la fiducia con 156 sì. Ma Conte non ha solidità politica

“Cercheremo maggioranza più forte”, dichiara il premier. Votano per il governo due forzisti. I sì superano i no grazie all’astensione dei renziani

Senato, passa la fiducia con 156 sì. Ma Conte non ha solidità politica

I sì al governo Conte sono stati 156, i contrari 140, gli astenuti 16. Il Senato ha approvato la risoluzione di maggioranza con la quale il presidente del Consiglio ha posto la questione di fiducia. Italia Viva si è astenuta mentre il socialista Nencini, che ai renziani ha ‘prestato’ il simbolo per la costituzione del gruppo a Palazzo Madama, ha votato a favore. Sì anche da due senatori di Forza Italia, espulsi immediatamente dal partito: Mariarosaria Rossi, ex segretaria di Berlusconi, e Andrea Causin. Dal Gruppo Misto hanno votato con Pd, 5S e Autonomie, oltre a Leu e al Maie-Italia 23, anche Mario Monti, Sandro Ruotolo, Sandra Lonardo (moglie di Clemente Mastella), Alfonso Ciampolillo, Gregorio De Falco e Tommaso Cerno che rientra nelle file dem. Gli ex cinquestelle Martelli e Giarrusso, alla vigilia del voto dati come possibili ‘responsabili’, hanno dato forfait.

 

L’incertezza del quadro politico

Dunque, la debacle a Palazzo Madama non c’è stata. L’obiettivo di superare 155 voti è stato raggiunto ma un avvicinamento netto alla soglia della maggioranza assoluta, ovvero a quota 161, è mancato. E senza l’astensione di Italia Viva maggioranza e opposizione avrebbero chiuso la partita alla pari. Pur incassando una maggioranza relativa al Senato, il governo resta in bilico e la situazione politica rimane parecchio incerta. L’appello ai ‘volenterosi’ non ha dato l’esito sperato. E tra i 156 Sì ci sono anche quelli di due senatori a vita che in genere non partecipano alle votazioni: Liliana Segre ed Elena Cattaneo. Numeri troppo risicati per consentire una navigazione tranquilla del Conte bis dopo le dimissioni delle ministre renziane e a fronte delle drammatiche sfide per l’emergenza sanitaria e per quella economica che attendono il Paese. Stando al dettato costituzionale il quadro che si è delineato non obbliga il premier a salire al Colle. Per la fiducia la Carta prevede una maggioranza semplice. Ma garbo istituzionale imporrebbe un chiarimento nelle mani del capo dello Stato che, fino ad oggi, non si è espresso pubblicamente sulla crisi in atto. Conte, tuttavia, vuole andare avanti. In un tweet ha dichiarato: “Ora l'obiettivo è rendere ancora più solida questa maggioranza. L'Italia non ha un minuto da perdere. Subito al lavoro per superare l'emergenza sanitaria e la crisi economica. Priorità a piano vaccini, Recovery Plan e dl ristori”.

 

Nencini e Ciampolillo riammessi al voto

La giornata in Aula è stata tesa. Undici ore di dibattito e una caccia all’ultimo voto che si è consumata fino alle battute finali dello scrutinio. Molta la preoccupazione, almeno tra i banchi della maggioranza. L’asticella dei voti è oscillata per tutto il giorno. Dopo l’ottimismo della mattina, il pomeriggio e la serata hanno lasciato spazio alla totale incertezza. Anche l’incidente di Ciampolillo e Nencini, risultati assenti sia alla prima che alla seconda chiama, e poi riammessi al voto dalla presidente Casellati, ha scatenato ulteriore nervosismo.

 

Il nuovo match Renzi-Conte

La tensione maggiore si è toccata con un nuovo scontro tra Matteo Renzi e il premier. Il leader di Italia Viva ha sferrato a Conte un attacco durissimo, frontale. Ha parlato di “mercato indecoroso di poltrone. Quando si fa politica si può anche rinunciare a una poltrona non a un’idea”, ha detto. E ancora: “Ha cambiato la terza maggioranza in tre anni”. Conte ha replicato: “Quando si sceglie la via del dialogo non avete mai trovato porte chiuse. Ma a un certo punto avete scelto la strada dell'aggressione e degli attacchi mediatici, avete cominciato a parlare fuori e non dentro”. E sulle poltrone: ““Non è importante, lo dico ai cittadini, dire ‘non sono interessato alla poltrona’ ma essere interessati a star seduti con disciplina e onore”.

 

Gli appelli ai ‘volenterosi’

Il presidente del Consiglio le prova tutte per agganciare “liberali, popolari e socialisti”. Nel suo discorso di replica dopo il dibattito generale cita Nencini e si rivolge al senatore di Cambiamo!, Gaetano Quagliariello, richiamando il suo intervento. Assicura di lavorare a “un patto di legislatura e a un rafforzamento della squadra di governo”. Ma non è bastato. Dopo il caso dell'azzurra Renata Polverini ha detto addio a Silvio Berlusconi votando, a sorpresa, alla Camera la fiducia, nell’area moderata dell’opposizione non si è mosso granché se non il voto dei forzisti Rossi e Causin. Adesso saranno decisive le prossime ore. E’ probabile che l’unica chance di rimettere in piedi una maggioranza verrebbe dalle file renziane. Pd e Cinquestelle non vogliono dialogare con Renzi, giudicato oramai “inaffidabile”, ma con le sue truppe. E’ opinione diffusa che se l’ex sindaco di Firenze non avesse optato per l’astensione i suoi senatori si sarebbero spaccati su un voto contrario al governo. Molti di quei senatori sono stati eletti con il Pd e ora sul senso di appartenenza e sulla mancanza di una prospettiva politica di Iv la dirigenza dem conta per riprendere i contatti. Al Corriere della Sera Maria Elena Boschi ieri ha dichiarato: “L’astensione è la strada per tenere aperto un canale di dialogo: al premier la decisione se coltivarlo o reciderlo”.

 

Salvini e Meloni

“La cosa più seria ora è dare la parola agli italiani, tornare al voto”, dice Matteo Salvini. E Giorgia Meloni: “Rispetto alle premesse e alle speranze di Conte e Casalino le cose non sono andate come speravano: sentivo parlare di decine di responsabili ma al netto di casi singoli, dall'altra parte ce ne sono di più, il centrodestra ha mantenuto la sua compattezza e non era scontato. Ho parlato con Salvini, parlerò con Berlusconi. Ora dobbiamo chiedere un colloquio con il Colle”.

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