Le ricadute sugli equilibri

Draghi, affanno dei partiti. M5s espelle il fronte del no alla fiducia

Il premier alla Camera per il secondo voto sul governo, ma nelle forze politiche c’è subbuglio. E gli intergruppi per rinforzare le alleanze non decollano

Draghi, affanno dei partiti. M5s espelle il fronte del no alla fiducia

Non ha eguagliato Mario Monti che nel 2011 ottenne la fiducia al Senato con 281 sì. Né battuto il record del IV governo Andreotti che nel 1978, in piena emergenza terrorismo e a cavallo del drammatico rapimento di Aldo Moro, con l’appoggio di Dc, Pci, Psi, Psdi, Union Valdotaine e Sudtiroler Volkspartei fu votato da 298 senatori.

Ma quello di Mario Draghi è stato comunque un plebiscito. Con 262 favorevoli, 40 contrari e 2 astenuti il suo governo conquista la fiducia di Palazzo Madama e attende oggi quella della Camera dei deputati. Un passaggio scontato, vista la ampissima coalizione che sostiene il suo esecutivo ‘repubblicano’ e per ‘la ricostruzione’ dell’Italia.

Il quadro politico, tuttavia, è tutt’altro che tranquillo. Nei partiti permangono fibrillazioni e il tentativo di spostare la bussola del governo da una parte o dall’altra.

 

Scissione nel M5S

Quindici senatori tra cui spiccano i nomi di Barbara Lezzi e Nicola Morra non hanno votato la fiducia al governo Draghi. E c’è da aspettarsi che oggi a Montecitorio la pattuglia dei dissidenti cresca di numero. Vito Crimi annuncia l’espulsione, forse non abbastanza consapevole delle ricadute che il gesto avrebbe, aprendo a un ulteriore e certo depotenziamento dei gruppi parlamentari pentastellati. I vertici hanno provato fino all’ultimo a giocare la carta dell’astensione. Ma il messaggio di Di Battista che ancora ieri ribadiva “Oppormi a questo governo e dunque prendere le distanze dal Movimento che ha deciso di sostenerlo è stata per me una decisione naturale” è arrivato ai destinatari. I suoi si sono regolati di conseguenza avviandosi ormai su un binario parallelo destinato a non incrociare il destino dei governisti. All’espulsione si oppongono gli interessati. “Faremo ricorso”, annunciano alcuni. “Sono scosso, devo riflettere”, dichiara Morra. Mentre la Lezzi ha annunciato che si candida “a far parte del comitato direttivo del M5S, da cui non sono espulsa”, scrive su Fb.

 

L’intergruppo Pd-M5S-Leu non decolla

L’ipotesi di un intergruppo Pd-M5S-Leu seppur con l’intenzione di orientare verso l’asse giallorosso la politica del nuovo esecutivo ha creato i primi malumori tra i dem. Anche se benedetto da Giuseppe Conte in persona che ha parlato di “mossa opportuna”. Ma forse i mal di pancia sono nati proprio per questo. Quell’alleanza forte con l’ex premier caldeggiata da Zingaretti non piaceva prima e, men che mai, piace adesso a Base Riformista. E per motivi diversi non è gradita all’ala dei Giovani Turchi. Dissidi interni che portano dritti al nodo esistenziale del Nazareno rischiando di riaprire faide interne e accelerare le operazioni congressuali. Il Pd, insomma, deve decidere cosa fare da grande. Entrare in una maggioranza insieme a Lega e Fi e interfacciarsi con un Movimento allo sbando, senza una guida, non lo sta aiutando a tracciare un’identità politica.

 

Lo spazio di manovra di Salvini si è ridotto

Matteo Salvini è in evidente difficoltà. Il leader del Carroccio ha provato la tattica del partito di’ lotta e di governo’, ricevendo da Draghi un primo sonoro altolà sull’euro. “Nulla è irreversibile, solo la morte”, aveva detto il capo di via Bellerio. “Sostenere il governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’Euro”, ha sottolineato il premier nel suo discorso a Palazzo Madama. Ma la paura dell’ex sovranista adesso è quella di perdere il controllo sui suoi ministri. Draghi ha già scelto l’interlocutore per la Lega ed è Giorgetti. Il peso politico crescente del nuovo ministro dello Sviluppo Economico rischia di schiacciare il segretario. Che troppo velocemente ha abbracciato la linea moderata e che ora si ritrova orfano dei suoi cavalli di battaglia: populismo e antieuropeismo. Cerca un nuovo spazio Salvini ma è esattamente quello che stanno facendo i suoi colonnelli.

 

Fratelli d’Italia cerca di riafferrare gli alleati

Giorgia Meloni spiega dalle pagine del quotidiano La Repubblica perché ha voluto restare all’opposizione. Non si definisce nemica dell’Europa ma quella che non condivide è l’idea che ne ha il nuovo presidente del Consiglio in merito alla cessione della sovranità nazionale. Una scelta politica quella di Fratelli d’Italia che però già pagano un prezzo. Rimasta fuori dal patto moderato tra Lega e Forza Italia, la Meloni ha lanciato la controffensiva per un intergruppo parlamentare con i partners del centrodestra e provare a ricucire un’alleanza che perde mordente.

 

In Forza Italia tregua temporanea

Anche Forza Italia cerca di tenere insieme i pezzi ma soprattutto al suo interno. L’ala più vicina alla Lega di Matteo Salvini è rimasta fuori da incarichi di governo. Per tamponare Berlusconi ha nominato Tajani coordinatore nazionale, ma non è bastato a placare gli animi. Ritrovarsi come ministri Carfagna, Brunetta e Gelmini - i dissidenti che sarebbero stati pronti a uscire dal partito se il Cavaliere non avesse dato il suo appoggio all’ex capo della Bce- ha smosso i fragili equilibri azzurri. I nemici per il momento hanno deposto le armi. Ma i neo-ministri sono tenuti sotto osservazione. 

COPYRIGHT THEITALIANTIMES.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA