Il braccio di ferro

Spese per la Difesa, la mediazione dem placa i Cinque Stelle

Il ministro Guerini apre per spostare l’aumento delle spese militari al 2028 e offre a Conte una via d’uscita. Strappo evitato ma Movimento più isolato

Spese per la Difesa, la mediazione dem placa i Cinque Stelle

Sembrano rientrate le tensioni altissime che negli ultimi giorni hanno contrapposto il premier, Mario Draghi, e il numero uno del Movimento Cinque Stelle, Giuseppe Conte. Il nodo del contendere, quello dell’aumento delle spese militari, si è sciolto con la mediazione del titolare della Difesa, il dem Lorenzo Guerini. Il ministro ha aperto all’ipotesi di spostare al 2028 l’aumento dei fondi da stanziare per gli armamenti: “L’impegno assunto in sede Nato nel 2014, riconfermato di tutti i presidenti del Consiglio che si sono succeduti da allora, prevedeva il raggiungimento del 2% del Pil per le spese della Difesa entro il 2024. Fin dal momento in cui ho assunto la guida di questo dicastero ed anche in questi giorni ho sempre indicato sia l’esigenza di rispettare l’obiettivo, sia la gradualità con cui raggiungerlo”. Parole importanti che placano le fibrillazioni della gamba pentastellata della maggioranza, in particolare dell’ex inquilino di Palazzo Chigi. Fresco di riconferma alla guida del Movimento, Conte aveva alzato il tiro nei confronti del suo successore minacciando di non votare al Senato il decreto sugli aiuti all’Ucraina già votato alla Camera. Guerini ha fatto sapere che dal 2019 ad oggi “abbiamo intrapreso una crescita graduale delle risorse sia sul bilancio ordinario che sugli investimenti, che ci consentirà di raggiungere la media di spesa dei Paesi dell’Unione Europea aderenti alla Nato e poi, entro il 2028, il raggiungimento del 2%”.

 

Dunque, è tornato il sereno tra il M5S e Palazzo Chigi ma la spaccatura è destinata a lasciare il segno. E di certo anticipa quello che sarà il tenore dei rapporti tra Conte, il presidente del Consiglio e le forze di maggioranza nei prossimi mesi con l’avvicinarsi delle elezioni politiche.  In verità, questa volta, lo strappo è stato davvero vicino: Draghi è persino salito al Quirinale avanti ieri per un colloquio con il presidente Mattarella. Quest’ultimo ha avuto un ruolo decisivo nella spinta alla mediazione. Dopo una giornata contrassegnata da forte nervosismo le dichiarazioni del ministro dem hanno offerto ai grillini una via d’uscita rispetto a una posizione parecchio contraddittoria, dettata più da ragioni legate al consenso che a questioni di merito o ideologiche. 

 

Nel Movimento sono convinti di aver vinto il match con il governo: “Ieri eravamo dei matti, oggi invece si va sulla linea di Conte e del M5S: il raggiungimento del 2% del Pil per le spese militari viene spostato al 2028 e non prima. Così rispettiamo gli impegni ma liberiamo subito risorse per ridurre bollette a famiglie e imprese”, è scritto in una nota del sottosegretario all’Interno, Carlo Sibilia. In serata è arrivata anche la dichiarazione di Conte: “Non vogliamo la crisi di governo, siamo una forza responsabile”. In questa vicenda chi manifesta molto disappunto, pur avendo svolto un ruolo fondamentale per ricomporre i contrasti, è il Pd.

 

“L’Italia lascerebbe sbigottito il mondo intero se si aprisse ora una crisi di Governo”, ha detto nel pomeriggio il capo del Nazareno, Enrico Letta. “Sarebbe una crisi dannosa per noi, per tutti noi. E sarebbe tremendamente negativa per il processo di pace e per chi soffre per via della guerra. Noi lavoriamo con impegno per evitarla”. Crisi ad ora è scongiurata ma il Movimento è più isolato.

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