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Direzione Pd, Letta: “No X-Factor sui nomi”. Simbolo: “Resti com’è”

Congresso a marzo. Il segretario tenta l’autocritica e per il futuro chiede vertici più giovani. La relazione davanti a un partito che ha smarrito la strada

Direzione Pd, Letta: “No X-Factor sui nomi”. Simbolo: “Resti com’è”

Per Enrico Letta il congresso del Pd dovrà avere “tempi giusti: non deve essere né un X Factor sul miglior segretario da fare in 40 giorni, ma nemmeno un congresso che rinvia alle calende greche”. Il segretario dimissionario, che guiderà i democratici lungo un percorso che si annuncia parecchio accidentato, vorrebbe che “il nuovo gruppo dirigente fosse in campo con l’inizio della nuova primavera. Abbiamo bisogno di partire da marzo con una scelta significativa”, dice. Quanto al simbolo: “Resti com’è. Gli elettori ci hanno dato un chiaro mandato: essere la seconda forza politica del Paese e guidare l’opposizione. E’ un mandato per il futuro e dobbiamo partire dal simbolo, che io amo, e che deve rimanere”.

 

Dunque, il congresso dem non sarà rinviato. E sul simbolo meglio lasciar perdere idee dell’ultim’ora. In un partito ancora frastornato dalla sconfitta elettorale meglio tenersi stretti i punti fermi. Durante la direzione la relazione del segretario è un tentativo di tirare le somme sull’esito delle urne. I problemi aperti sono diversi. Il primo riguarda l’identità, da cui dipende la collocazione futura del Pd, tallonato a sinistra dal M5S, al centro dal Terzo Polo.

 

L’ex premier fa autocritica, “un’analisi senza nessuno sconto, a partire da me stesso”. Però avverte: il congresso “non sia un referendum su Conte o Calenda” che “sarebbe un’idea di declino”. Insiste: “Il partito deve essere in grado di parlare a quella larga fascia di italiani che non ce la fa”. E lancia il suo diktat: “Mai più governi di unità nazionale”. Il tema delle alleanze è però prioritario, piaccia o no, nonostante il segretario metta in guardia sui pericoli di una lotta intestina tra chi parteggia per Conte e chi per Calenda.

 

La relazione di Letta non è piaciuta a tutti. Anche rispetto alla “necessità di avere capi dei gruppi parlamentari di rappresentanza femminile” si sono registrati malumori. “Sui prossimi capigruppo, non va bene che sia la direzione del partito a dare indicazioni. I gruppi dovrebbero prendere le loro decisioni nelle loro assemblee”, ha detto uno dei decani, Luigi Zanda. Anche sui tempi congressuali l’ex capogruppo al Senato avverte: “Ho visto la tabella di marcia. Per un congresso costituente il tempo previsto non è sufficiente. Stiamo attenti alla fretta” e a non ridurlo a “una semplice lotta di nomi annullando la riflessione politica”.

 

Poi indica due alternative per i dem: “un gattopardismo doroteo o una visione strategica, inclusiva, rivoluzionaria. La prima strada è la morte del Pd, con la seconda possiamo segnare una nostra forza nella società italiana”. Ma sui tempi congressuali c’’è anche chi spinge per un’accelerazione. L’eurodeputata Moretti ad esempio, che chiede “subito un segretario forte e legittimato per rispondere come opposizione al governo di destra”.

 

La verità è che nel partito è cominciato il redde rationem. Letta vorrebbe un ricambio ai vertici. “Ringrazio quanti mi hanno chiesto un impegno di più lungo periodo ma lo riterrei un errore. E’ giusto mettere in campo una classe dirigente più giovane in grado di sfidare il governo di Giorgia Meloni”. Per ora, tra i papabili alla segreteria, la più giovane è Elly Schlein, appena approdata in Parlamento. La vice presidente della Regione Emilia Romagna rappresenta l’area più a sinistra.

Tra i centristi pronto alla corsa c’è invece Stefano Bonaccini, presidente della stessa Regione. Colui che, ironia della sorte, ha voluto Schlein come sua vice e che ora se la ritrova come rivale.

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