la gogna mediatica

Giovanna Pedretti, i social come vetrina di visibilità e vulnerabilità

La ristoratrice di 59 anni finita nel tritacarne dei social per una presunta recensione falsa, è stata trovata senza vita nel fiume Lambro. Le indagini

Giovanna Pedretti, i social come vetrina di visibilità e vulnerabilità

La storia di Giovanna Pedretti, la titolare della pizzeria Le Vignole di Sant'Angelo Lodigiano, che ha fatto il giro del web per la sua risposta a una recensione negativa su Tripadvisor, ha avuto purtroppo un tragico epilogo. Il suo corpo è stato ritrovato ieri mattina nelle acque del fiume Lambro, vicino al ponte di Viale dell’Autonomia, a pochi passi dalla sua auto. A dare l'allarme il marito, che ne aveva denunciato la scomparsa dopo aver notato l'assenza della moglie dalla casa sopra il locale. Le telecamere di sicurezza hanno registrato l'uscita della donna alle 4 del mattino.

La Procura della Repubblica di Lodi ha aperto un'inchiesta, senza formulare al momento alcuna ipotesi di reato. Le indagini sono condotte dai carabinieri del reparto operativo della compagnia di Lodi, che hanno disposto l'autopsia sul cadavere della donna. Tra le varie possibilità, si ipotizza che si sia trattato di un suicidio, ma non si escludono altre piste.

La morte di Giovanna Pedretti ha scosso la comunità di Sant'Angelo Lodigiano, dove era conosciuta e apprezzata per il suo impegno sociale. La sua pizzeria, infatti, dal 2020 promuoveva iniziative di solidarietà come la “pizza sospesa”, un gesto di generosità per le persone in difficoltà. Inoltre, era sensibile alle tematiche dell'inclusione e della diversità.

 

La recensione e la risposta di Giovanna Pedretti

La recensione che ha scatenato la polemica aveva assegnato una stella al locale. Il motivo della sua insoddisfazione era stata la presenza di gay e di un disabile nel ristorante, che secondo lui rovinavano l'atmosfera e il servizio.  La risposta di Giovanna Pedretti era stata invece esemplare, sia nel tono e sia nel contenuto. La donna aveva infatti ribadito il suo orgoglio di accogliere nel suo locale persone di ogni orientamento sessuale e condizione fisica, e aveva invitato il cliente a non tornare più.  

In poco tempo la recensione e la risposta sono diventate virali sui social media, dove molti utenti avevano espresso la loro solidarietà alla ristoratrice e il loro disprezzo per il cliente. Tuttavia, nei giorni successivi sono emersi dei dubbi sulla veridicità della recensione, che alcuni hanno definito una "operazione di marketing spacciata per eroica difesa di gay e disabili". Tra i più critici, Selvaggia Lucarelli, che aveva rilanciato i sospetti su Twitter e Instagram, mettendo in evidenza alcune incongruenze e contraddizioni sollevate dal suo compagno Biagiarelli.

In un'intervista del Tg3, la ristoratrice, aveva ammesso la possibilità di essere caduta in un "tranello".

Dopo la notizia della morte di Giovanna Pedretti, la Lucarelli ha respinto le accuse di aver scatenato una "gogna" mediatica contro la donna, sostenendo di aver fatto solo il suo lavoro di giornalista. "La gogna di cui qualcuno sta parlando, è stata: un servizio di un tg, un post sui social, una storia su Instagram. La signora non è stata ''sommersa'' da insulti, ma non si riesce mai a raccontare la verità", ha scritto su Twitter. 

 

La pericolosità dei social

La vicenda di Giovanna Pedretti è emblematica della pericolosità dei social media, che possono trasformare una storia in un fenomeno virale, ma anche in un incubo. I social media sono infatti una vetrina per la visibilità, ma anche per la vulnerabilità. Chi si espone al giudizio degli altri, si espone anche al rischio di essere attaccato, criticato, diffamato, minacciato. I social media sono anche una fonte di informazione, ma anche di disinformazione. Chi si informa attraverso i social, si informa anche attraverso le opinioni, le emozioni, le manipolazioni degli altri. I social media sono infine una piattaforma per la comunicazione, ma anche per la solitudine. Chi si connette con gli altri, si connette anche con la propria fragilità, la propria insicurezza, la propria depressione.

La storia di Giovanna Pedretti ci ricorda che i social media sono uno strumento potente, ma anche pericoloso. Uno strumento che va usato con consapevolezza, responsabilità, rispetto. Uno strumento che va usato per costruire, non per distruggere.

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