Gli occhi della psicologa

Fidanzati di Lecce, Antonio assassino per non aver gestito l'invidia

A causare la tragedia dell’arbitro leccese e della fidanzata un insospettabile insicuro. Ma dobbiamo imparare a saper guardare un po' più a fondo

Fidanzati di Lecce, Antonio assassino per non aver gestito l'invidia

L’invidia è uno dei sentimenti primordiali dell’essere umano. Noi tutti siamo stati attraversati da questa sensazione di cosa ha l’altro che io non ho e per quale motivo non lo abbiamo. Ma per fortuna le nostre strutture psichiche nella crescita vanno piano a formarsi in maniera tale che l’individuo crei un “Se” adattivo tra quello che appunto sono istinti primari come l’invidia e ciò che la società ci chiede per esserne parte integrante. È un'elaborazione che porta questo sentimento ad essere raffinato ogni volta che si presenta affinchè non diventi distruttivo per sé e per gli altri.

 

Ma cosa accade quando questo percorso di equilibrio psicologico non avviene? Gli istinti distruttivi prendono il sopravvento e ci ritroviamo a guardare il volto di Antonio, ragazzo perbene, volto pulito, sorriso ingenuo e per tutti il ragazzo della porta accanto restando quasi perplessi nel non ritrovare caratteristiche che nel nostro immaginario associamo inevitabilmente a chi potrebbe essere artefice di un delitto così efferato. Antonio ha assassinato con lucida determinazione due giovani amici, un arbitro di calcio e la sua fidanzata. Se un individuo non mostra nessun aspetto inquietante purtroppo non deve bastare a farci sentire sicuri. Osservare invece nel dettaglio potrebbe mostrarci anche gli aspetti più segretamente nascosti. Antonio, sì un bravo ragazzo, una vita all’apparenza del tutto normale ma se andassimo ad esaminarne il carattere introverso (almeno dalle descrizioni), se veniamo a sapere che si tratta di una persona con pochissimi rapporti amicali, compreso la mancanza di un rapporto amoroso, potremmo chiederci se necessita di aiuto, di ascolto per superare inquietudini che sono così accresciute da perdere il controllo del tutto anche del valore della stessa vita umana di due suoi simili, amici, giovani e con tutta una vita di sogni e speranze davanti.

 

Quanto è potuto crescere questo mostro omicida dentro di lui? Da quanto  tempo questo sentimento maligno albergava nella sua mente per diventare così assetato di vendetta?

L’invidia se non gestita accettando prima di tutto che fa parte di noi può esplodere in diversi sentimenti in cui ritroviamo rancore, gelosia che guidano, filtrano lo sguardo che abbiamo del mondo esterno e in particolare dell’altro. L’altro che è lo specchio in cui non ci vorremmo mai guardarci perché è il parametro di quello che io non potrò mai essere. Il mio non poter essere o avere ciò che l’altro ha dipende anche dall’insicurezza che ho di me stesso della mia non autostima che forse necessitava di essere alimentata nel corso della mia esistenza da persone, esperienze che hanno fatto parte del percorso della mia vita. 

 

Il gioco di finto equilibrio forse avrebbe potuto reggere nel momento in cui Antonio si sentiva parte di qualcosa che per quanto invidiava era per lui un riferimento. Anche per lui in quella casa condivisa da tutti tre i protagonisti della storia c’era uno spazio. Ma quando questo ruolo gli viene tolto diventa come l’attore a cui non viene più riconosciuta la sua parte. E quale è stata la dinamica in cui gli è stato detto che non avrebbe dovuto più far parte di quel copione che per quanto squilibrato poteva per lui rappresentare un riflesso di un “Se” tanto desiderato. Per arrivare a immaginare, progettare e compiere un azione tanto distruttiva c’è un pensiero che ha ruminato nella mente di Antonio per un tempo non breve da avere la capacità, che i pensieri hanno, di plasmare il suo modo di vedere e come epilogo il suo modo di agire. Sì, perché se nessuno ti libera dalla gabbia che i pensieri spesso possono creare nella nostra mente a meno che tu non abbia a disposizione degli strumenti di auto-aiuto, diventa quasi impossibile venirne fuori.

 

Forse dovremmo smetterla di meravigliarci di eventi tragici nel momento in cui avvengono ma iniziare a meravigliarci nel guardare un giovane che può essere un nostro allievo, amico, parente in cui il peso che ha dentro non può essere nascosto ad uno sguardo sensibile e saper chiedere cosa c’è che non va?

Questo forse perché ci siamo abituati troppo a guardare con superficialità il tutto, e bisogna smettere di farlo. Ora purtroppo regna una chiave di lettura immediata fatta di immagini a cui oramai tutti noi ci siamo in gran parte abituati che rendono la realtà fatta di fermo immagine perfette e non ci si richiede la necessità di andare più a fondo. Riusciremo a farlo?

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