I vaccini

Vaccini anti-Covid: quali sono, come funzionano, quando li avremo

Le prime dosi potrebbero essere pronte in tempi record, grazie al fatto che almeno due dei nuovi vaccini sono stati sviluppati con una tecnica innovativa

Vaccini anti-Covid: quali sono, come funzionano, quando li avremo

Vaccini anti-Covid, è corsa tra le aziende produttrici a rendere disponibili i vaccini il prima possibile, in particolare tra Pzifer e Moderna, ma anche AstraZeneca-Università di Oxford. Anche gli Stati hanno avuto le prime dosi in vista della somministrazione di oggi nella giornata del vaccine day Europeo del 27 dicembre, a partire dalle categorie più a rischio come sanitari e ospiti delle RSA.

 

Ma i vaccini ai quali si sta lavorando hanno caratteristiche molto differenti tra loro, come le modalità di conservazione, mentre i tempi record con cui sono stati annunciati i primi due sono legati al fatto che si è utilizzata una tecnica del tutto innovativa per realizzarli. Intanto in corsa ci sono anche il russo Sputnik V e il cinese Coronavirus. 

 

Vaccini in tempo record

Per la prima volta nella storia della scienza medica, si è assistito a uno sforzo mondiale da parte di ricercatori universitari, case farmaceutiche e comunità scientifica per arrivare a un vaccino contro il Covid in tempi record e i primi risultati sono arrivati, con l’annuncio di Pfizer e Moderna, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Entrambi i produttori hanno parlato di livelli di efficacia ottimali, rispettivamente al 95% e al 94,5%, anche se i dati ufficiali non sono ancora stati pubblicati ufficialmente e dunque manca ancora una validazione da parte della comunità scientifica.

 

Ma come si è arrivati a vaccini in tempi così rapidi? «Un vaccino efficace e sicuro non si fa da un giorno all'altro ma, che si possa accelerare per raggiungere l'obiettivo, è una questione di volontà e di risorse disponibili. La rapidità è infatti un aspetto fondamentale, specialmente quando si tratta di un vaccino "di emergenza" indispensabile per bloccare la diffusione di una pandemia che in soli sei mesi ha causato oltre 1,3 milioni di morti. Una delle possibili spiegazioni di questo successo è stata certamente la grande collaborazione tra diversi gruppi di ricerca in tutto il mondo che hanno continuano a lavorare in sincronia per arrivare allo sviluppo di vaccini in tempi relativamente brevi» spiega Giuseppe Remuzzi, ricercatore dell’Istituto M. Negri, che aggiunge: «Certo anche le enormi risorse economiche che sono state messe a disposizioni dai singoli Governi sono state un propellente fortissimo per arrivare in tempi brevi a composti efficaci e sicuri. Per ultimo, ma non per importanza, l'avanzamento tecnologico a cui abbiamo assistito nel campo scientifico/biomedico in quest'ultimo decennio ha certamente contribuito a maturare una forte spinta tecnologica che ci ha permesso di avvicinarci al traguardo in maniera così veloce sempre garantendo i più alti standard di qualità sui dati e di rigore scientifico» ha aggiunto l’esperto.

 

La nuova tecnica dell’RNA messaggero

Sia il vaccino Pfizer che quello dell’americana Moderna hanno fatto ricordo a un nuovo approccio: «Classicamente i vaccini si basano sulla somministrazione di proteine purificate del virus che possono assemblarsi per formare particelle simil-virali. Sono quelli che normalmente vengono sviluppati contro influenza, tetano, difterite o HPV. Esistono poi vaccini che incorporano una forma inattiva o attenuata del virus, non in grado di indurre malattia, ma che stimolano il sistema immunitario a produrre anticorpi contro il virus. Questi sono, ad esempio, i vaccini contro polio, varicella o morbillo. Questi tipi di vaccino richiedono molto più tempo, ma si stanno producendo anche per il coronavirus in varie parti del mondo, anche se di questi se ne parla meno» premette Remuzzi.

 

Ma in cosa la novità nel caso dei due vaccini anti Covid? «I vaccini più “moderni” si basano su tecniche di biologia molecolare più avanzata, quali appunto iniezione di RNA messaggero (Pfizer-BioNTech e Moderna) o di vettori virali non infettivi che veicolano geni del coronavirus (come quello di AstraZeneca). Entrambi i due approcci consentono di sviluppare vaccini in modo più rapido in quanto sono molto efficaci nell’indurre una risposta immunitaria rapida» spiega il ricercatore. I vaccini di nuovissima generazione che si basano sul metodo dell’RNA messaggero (m-RNA) prevedono di introdurre nell’organismo un gene sintetico che porta i ribosomi delle cellule a produrre la proteina Spike (cioè quella a cui si “aggancia” il virus per entrare nell’organismo), stimolando la creazione di anticorpi come se si fosse in presenza del virus stesso. La differenza rispetto ai vaccini tradizionali sta nel fatto che non viene iniettata direttamente la proteina, ma solo l’RNA messaggero. 

 

Vantaggi e limiti

«Queste due tecniche hanno entrambe il vantaggio che sarà possibile modificare in breve tempo il frammento di informazione genetica del virus veicolato nell’organismo qualora il nuovo coronavirus dovesse mutare in modo importante, tale da sfuggire agli anticorpi prodotti dai vaccini che si stanno producendo ora. Dall’altro canto, sia per quanto riguarda i vaccini a RNA sia a vettore virale, sono approcci molto innovativi e ad oggi non ci sono vaccini simili autorizzati. Sarà quindi molto importante il loro stretto monitoraggio nella Fase IV, quella dopo l’introduzione in commercio, per monitorare su un vastissimo numero di soggetti la loro efficacia e sicurezza» chiarisce Giuseppe Remuzzi.

Un altro limite riguarda le modalità di trasporto e conservazione, in particolare la temperatura. 

 

Il vaccino Pfizer

Il nome del vaccino è BNT162, è stato messo a punto da Pfizer-Biontech e avrebbe un’efficacia del 95% (salita dal 90% iniziale, dopo la fine della sperimentazione). Il “limite” di questo vaccino è la temperatura di conservazione, a -80%, cioè difficile da poter mantenere nelle fasi di distribuzione e stoccaggio, in particolare in ospedali e farmacie. La casa farmaceutica stima di poter produrre entro la fine del 2020 dosi per 15/20 milioni di persone.

 

Il vaccino di Moderna

L’americana Moderna ha annunciato il proprio vaccino mRNA 1273, che si fonda sullo stesso principio di quello di Pfizer-Biontech, un’efficienza del 94,5%, ma ha il vantaggio di poter essere conservato per 30 giorni a temperature tra 2° e 8°C. Per il trasporto e lo stoccaggio a lungo termine si prevede invece uno standard di – 20°C per massimo 6 mesi. L’azienda americana, che si è avvalsa del proprio National Institute of Allergy and Infectous Diseases, prevede di poter mettere a disposizione entro la fine di dicembre circa 20 milioni di dosi, destinate in primo luogo agli Stati Uniti, per arrivare ad almeno 500mila dosi (ma potenzialmente anche a 1 miliardo) nel 2021, de distribuire anche fuori dagli Usa.
Nel computo delle dosi complessive, va tenuto contro che sia il vaccino di Pfizer che quello di Moderna richiedono una somministrazione in due tempi, con due iniezioni a distanza rispettivamente di 21 giorni e 28 giorni tra la prima e la seconda. 

 

Il vaccino AstraZeneca-Oxford

Il vaccino AZD1222 a cui stanno lavorando i ricercatori dell’università di Oxford insieme ad AstraZeneca, è stato sperimentato tra i laboratori dell’ateneo britannico e quelli di Pomezia, in Italia. In questo caso il principio del vaccino non è fondato sull’RNA messaggero, bensì su un “vettore”: in particolare ci si è serviti di un virus del raffreddore, che solitamente colpisce gli scimpanzé, dopo averlo reso innocuo per l’uomo. Al suo interno è stato inserito il materiale genetico della proteina Spike che, una volta iniettata nell’organismo umano, va a stimolare il sistema immunitario. La fase tre dovrebbe terminare entro il 2020, per poi procedere con la richiesta di autorizzazione e la successiva produzione e distribuzione per la metà del 2021. Quanto alle modalità di conservazione, sarebbero sufficienti temperature tra i -4° e i – 8°C. 

 

Lo Sputnik V russo e il CoronaVac cinese

Nella corsa al vaccino il primo in assoluto ad essere presentato come prodotto valido è stato lo Sputnik V russo, prodotto dal Gamaleya Research Institute of Epidemiology and Microbiology e approvato dal governo di Mosca ancora prima che iniziasse la terza fase di sperimentazione, dopo aver dichiarato un’efficacia del 92%

Sul prodotto cinese, noto come CoronaVac e prodotto dall’azienda farmaceutica nazionale Sinovac, non esiste ancora una documentazione ufficiale circa l’efficacia, anche se le prime dosi sono già state somministrate senza concludere la fase 3. Ciononostante, sulla rivista The Lancet il team di ricerca che ci ha lavorato ha dichiarato che «il CoronaVac è in grado di indurre una rapida risposta di anticorpi nelle quattro settimane dall’immunizzazione». Al momento si sta testando in Brasile, dove la sperimentazione è ripartita dopo una breve pausa, in Indonesia e Turchia.
Anche in questo caso sono previste due dosi di vaccino, somministrate a distanza di 14 giorni l’una dall’altra. Secondo quanto appreso finora, il vaccino cinese può essere trasportato in frigoriferi tradizionali, senza bisogno di temperature estreme (2°-8°C). 

 

Efficacia più alta delle aspettative, ma attenzione all’età

In tutti i casi annunciati finora si riferisce di un’efficacia ben superiore rispetto alle aspettative della vigilia, quando si puntava in media al 50%. Uno dei dati più attesi alla vigilia della pubblicazione era l’efficacia in base all’età anagrafica, perché in genere risulta più bassa negli anziani, cioè proprio la fascia di popolazione che si vorrebbe proteggere maggiormente. «Sono stati pubblicati proprio il 18 novembre su una delle riviste più prestigiose in ambito medico, The Lancet, i risultati del vaccino Oxford/AstraZeneca con vettore virale che dimostrano che questo vaccino sembra essere meglio tollerato nei più anziani rispetto ai giovani e che ha un'immunogenicità simile in tutti i gruppi di età.

 

Questo lavoro fa riferimento alla Fase II dello studio in cui sono stati arruolati 560 partecipanti sani tra il 30 maggio e l'8 agosto nel Regno Unito, con 160 di età compresa tra 18 e 55 anni, 160 di età compresa tra 56 e 69 anni e 240 di età pari o superiore a 70 anni – spiega Remuzzi - Nei partecipanti che hanno ricevuto il vaccino, la risposta anticorpale media era simile nelle tre fasce di età. L'unico limite dello studio è che i partecipanti di età pari o superiore a 70 anni avevano poche comorbilità, quindi potrebbero non essere rappresentativi della popolazione anziana generale. Ciò nonostante, possiamo dire con cauto ottimismo che tutti i dati ad oggi disponibili sembrano indicare la vaccinazione una strada molto promettente nel breve termine» conclude l’esperto.Quanto a Pfizer e Moderna si sa che hanno testato i propri vaccini su un campione rispettivamente di 43mila e 30mila soggetti. Il vaccino di Moderna viene presentato come particolarmente efficace negli under 55, ma con risultati positivi anche negli over 70, mentre si attendono i dati di Pfizer. 

 

Eventuali effetti collaterali

Secondo quanto annunciato dai produttori, al momento non ci sarebbero evidenze di criticità, se non effetti collaterali contenuti e ritenuti “fisiologici”, come stanchezza, arrossamento o gonfiore nell’area dell’iniezione (come per altri vaccini), mal di testa o dolori, ritenuti sintomi minori. 

 

Chi finanzia e quanto costerà

Come ricordato dal professor Remuzzi, per poter portare avanti la ricerca è stato necessario poter contare su finanziamenti ingenti. Sia nel caso di Pfizer-Biontech, sia per Moderna, le aziende fanno parte dell’operazione nordamericana Warp Speed. Biontech, che è statunitense, ha ricevuto da sola 375 milioni di euro di finanziamento dal ministero tedesco per la ricerca, essendo in collaborazione proprio con la tedesca Pfizer. Moderna, invece, è stata destinataria di 2,4 miliardi di finanziamento dal governo americano, condividendo la fase di sviluppo con il National Institutes of Health.

Ma quanto costerà il vaccino? Secondo le stime le dosi di Moderna avranno un costo di circa 25 euro, mentre quelle di Pfizer-Biontech leggermente inferiore ai 20 dollari. 

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