Se in Myanmar la situazione resta tesa e non si fermano le proteste contro il Golpe militare della scorsa settimana, anche da Washington arrivano pressioni perché sia ristabilita la democrazia. Dopo le parole dei giorni scorsi, Joe Biden è tornato a parlare del colpo di stato militare nella ex Birmania e ha annunciato sanzioni nel caso non si ristabilisca il rispetto dei diritti umani e non siano liberate le persone arrestate nei giorni scorsi, compresa la leader democratica Aung San Suu Kyi.
Ma il capo della Casa Bianca lancia anche un avvertimento alla Cina, in una colloquio telefonico con il presidente Xi Jinping, dicendosi “preoccupato per le pratiche aggressive” di Pechino in campo economico.
Myanmar, pronte sanzioni Usa
Joe Biden, che già nei giorni scorsi aveva parlato della situazione in Myanmar, è tornato a lanciare un chiaro messaggio, dicendo che “serve un immediato ritorno alla democrazia”. “I militari devono rinunciare al potere che hanno conquistato e dimostrare rispetto per la volontà del popolo birmano, espressa nelle elezioni dell’8 novembre” ha aggiunto Biden.
Gli Stati Uniti, secondo quanto dichiarato dal presidente Usa, continuano a lavorare con altri paesi (come l’India, NdR) “per sollecitare altre nazioni a unirsi a noi in questi sforzi”. L’obiettivo è il rilascio immediato degli attivisti e dei leader politici reclusi, a cominciare da Aung San Suu Kyi. In caso contrario, Biden ha avvertito che saranno congelati i beni di militari ed ex militari coinvolti nel Golpe e non ha escluso limitazioni all’export verso la ex Birmania.
Telefonata Biden - Xi Jinping
Dopo i messaggi a distanza, Joe Biden ha avuto il suo primo colloquio telefonico con Xi Jinping, da quando si è insediato alla Casa Bianca. I media Usa hanno parlato di "colloquio introduttivo", ma il messaggio del presidente Usa ha sostanzialmente confermato quanto anticipato solo pochi giorni fa. Biden si è detto “preoccupato” per le "pratiche aggressive" di Pechino: il riferimento è all’economia, ma anche alla gestione dello sviluppo tecnologico e al nodo delicato del rispetto dei diritti umani, con riferimento sia a questioni interne che alla dura repressione a Hong Kong. Poi, richiamandosi allo slogan della “Diplomacy is back”, ha esortato il suo omologo a "cooperare su questioni cruciali come i cambiamenti climatici e la proliferazione nucleare".