L’Unione europea e il Regno Unito hanno raggiunto l’accordo di principio sulle rispettive quote di pesca da applicarsi fino alla fine del 2021, nonché per alcuni stock di acque profonde per il 2022.
Si basa su pareri scientifici forniti dal Consiglio internazionale per l’esplorazione del mare. Tiene conto di importanti aspetti di sostenibilità e gestione delle risorse come il rendimento massimo sostenibile (Maximum Sustainable yield) e l’approccio precauzionale, fondamentali per la Politica Comune della Pesca e le disposizioni di cooperazione commerciale tra le due parti.
Nuovi limiti di cattura sugli stock ittici
Le trattative tra il team dei negoziatori di Bruxelles e quello guidato da David Frost hanno così concluso, il 2 giugno, le prime consultazioni annuali previste dall’accordo commerciale e di cooperazione (il TCA) avviate a gennaio 2021.
Turbate anche da controversie su come massimizzare le opportunità di pesca rispettando gli obiettivi ambientali, i mesi di bilaterali tra l’Unione e Londra hanno avuto infine esito positivo: la fissazione dei limiti di cattura per circa 75 stock ittici condivisi (tra cui l’eglefino, l’aringa e il merluzzo) fino a quando non verranno stabilite nuove regole comuni, chiarendo anche alcune questioni sospese riguardo ai limiti di accesso per le specie fuori quota.
Impegni post-Brexit
Virginijus Sinkevicius, Commissario Ue per l’Ambiente, la Pesca e gli Oceani, ha dichiarato che l’intesa di cooperazione tra Bruxelles e Londra “fornisce prevedibilità e continuità per le nostre flotte di pesca con TAC (totale ammissibile di cattura) definitivi per il resto dell’anno” accettati da “entrambi i partner dei due lati della Manica”.
Per il Governo Tory, ha parlato della buona riusciuta dell'accordo il Segretario di Stato britannico competente in materia, George Eustice. Nei prossimi giorni, la Commissione Ue proporrà al Consiglio di integrare l’accordo nella legislazione europea. All’approvazione seguirà la firma ufficiale.
Transizione e regime temporaneo
Non è la prima volta che l’Ue si trova a dover fare i conti con bilaterali e talk sulle quote per mantenere o difendere i diritti di pesca delle sue attività costiere. Ma si tratta del primo concreto negoziato con il Regno Unito dopo il divorzio dall'Ue segnato dalla Brexit.
Londra ha puntato fino all’ultimo di massimizzare gli interessi dei pescatori scozzesi e ha anche cercato di vietare tutte le attività di pesca nelle acque britanniche che fanno parte del fiume Doge del Mare del Nord. Lo ha fatto dando ad intendere che si tratta di una policy ragionevole dal punto di vista ambientale, nonostante potrebbe avere impatti considerevoli sulle rotte dei pescherecci dell’Unione.
In linea generale, i negoziati europeo ed internazionali che riguardano le attività di pesca si svolgono prima dell’inizio dell’anno solare.
Le decisioni che ne conseguono fanno sì che i pescatori riescano a determinare la quantità totale di pesce che possono catturare. Eccezionalmente, il 2020 ha visto negoziati andati per le lunghe dato che il macro-accordo per il dopo-Brexit è arrivato solo a fine dicembre. Dal 1 gennaio 2021, i pescatori hanno operato secondo un regime temporaneo per accesso alle reciproche acque.
La “guerra della pesca” trova pace
Meno di un mese fa, abbiamo visto alcune dinamiche scaturite dalla controversia tra Francia e Regno Unito sui diritti di pesca nelle acque al largo dell’Isola di Jersey.
La tensione si è alzata quando la Royal Navy e la Marina francese avevano dispiegato le rispettive navi per tenere l’area sotto controllo, facendo scattare nuove preoccupazioni a Bruxelles su quella che dal 2019 fa parlare di se come la “guerra della pesca”. Ma in questi giorni, si assiste ad una atmosfera di riconciliazione visto che si sta andando verso le giuste soluzioni.
Per decenni, Bruxelles ha tenuto colloqui simili a quelli con i britannici, a cadenza annua, con altri Paesi vicini che pescano a ridosso delle acque europee. È il caso della Norvegia.