la finale in Qatar

Il romanticismo del calcio vince ancora: i fattori dell’Argentina

Dove nasce la conquista del Mondiale? Battere i campioni in carica senza mollare di fronte ai temutissimi rigori, ha portato Messi sulla vetta più alta

Il romanticismo del calcio vince ancora: i fattori dell’Argentina

La vittoria del romanticismo. La piramide che si completa, giungendo alla composizione perfetta. Così possiamo riassumere in brevi termini il percorso glorioso di Leo Messi, che al seguito di sette Palloni d’Oro, numerose trofei continentali, europei, è riuscito a alzare al cielo l’unico pezzo mancante della sua longeva e vincente carriera: la Coppa del Mondo con l’Argentina. Un cammino complesso, iniziato con la sconfitta all’esordio, quando l’Arabia Saudita è riuscita ad interrompere la striscia da record di risultati utili consecutivi. Una striscia però, che non ha influenzato il carisma di Scaloni, allenatore-padre di un gruppo che ha cercato per diverso tempo la tranquillità interna.

Aver fatto sentire i giocatori come dei “protetti”, ha dato la possibilità ai giovani di poter esplodere, commettendo degli errori e senza bocciature immediate. Basti vedere il risultato con pedine come Fernandez, che sono addirittura riusciti ad affermarsi, facendo esplodere il prezzo del cartellino. Una Coppa America e un Mondiale nel giro di due anni, sono numeri da brividi, che in pochissimi allenatori esordienti sono riusciti ad imitare. Forse nessuno. Il tecnico, ex giocatore della Lazio, ha capito che lo spogliatoio dipendeva unicamente da una cosa: lo spirito di Messi.

Tanti, forse troppi allenatori, hanno provato a prendere il sopravvento sul numero dieci, non riuscendo però ad imporsi sul gruppo. Creare un rapporto con la Pulga, difendendolo dalle numerose critiche e non sostituendolo mai dal campo, ha fatto capire alla leggenda argentina di potersi fidare. E alla fine, tutto ciò ha premiato

 

Leo per una Nazione:

Una doppietta in finale sarebbe stato il più grande dei suoi sogni, seppur la squadra, a livello tattico, abbia commesso più di qualche errore. Ciò che ha stupito è la perfezione con cui è stato interpretato il primo tempo: perfetti nelle scelte, tocchi giusti e attenzione difensiva. Dopo appena trentacinque minuti sono andati avanti di due gol.

Poi, la paura del finale. Nonostante fossero riusciti a contenere la Francia, hanno sottovalutato il fattore più importante: Kylian Mbappé. Nel giro di dieci minuti ha rimesso in piedi la gara, mettendo in difficoltà la Seleccion, che ha addirittura rischiato il ribaltone. Messi ha però capito che le occasioni per vincere quell’ambizioso trofeo non vi erano già più, riuscendo così ad andare nuovamente a segno nei supplementari. La pressione ha giocato diversi scherzi, nonostante la “garra” di Lautaro e dei centrali difensivi, i francesi hanno di nuovo trovato il pari, con l’ennesima segnatura di Mbappé. Tripletta. Rigori.

 

Rigori:

L’ultima volta che una finale riuscì a regalare la cosiddetta “rigorata” è stato nel 2006, quando la nostra amata Italia vinse proprio contro i francesi, grazie al goal di Grosso. Questa volta, il protagonista è stato uno degli uomini copertina di questo Mondiale, nonché premiato come migliore portiere, “El DibuMartinez, un autentico maestro dagli undici metri.

Aver ipnotizzato Coman ha mandato in tilt i francesi, che da lì a poco tempo sono riusciti a sbagliarne anche un altro, probabilmente dettato anche dalla pressione degli importanti riflessi, del portiere argentino. Gli argentini dagli undici metri sono stati glaciali, a partire da Leo, che si è presentato per primo, facendo intendere di voler alzare quel trofeo al cielo. Uno dei più inattesi, Montiel, ha chiuso la sfida definitivamente, regalando un sogno alla Nazione “del Futbol".

Non aver vissuto un momento del genere con Lele Adani in telecronaca rimane un rimpianto per tanti italiani, che si sono appassionati alla squadra di Scaloni anche grazie agli incitamenti dell’ex difensore della Fiorentina.

 

Il destino di Maradona:

Qualcuno se lo sarebbe sentito da tanto tempo. Precisamente da quando è venuto a mancare il “Dio” del calcio: Messi ha voluto imitarlo, cercando di riportare in terra il suo nome, all’interno della coppa più importante che ci sia. Maradona è stato uno scopo per la Seleccion: il suo nome è rimasto nella testa dello spogliatoio per tutta l’esperienza in Qatar. Aver vinto anche per lui, riporta il calcio, ormai dannato dal denaro, in una sfera romantica, legata a principi ben più importanti di quelli attuali. 

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