Tensioni e timori

Guerra in Ucraina e nomine dividono il governo Meloni più di Mosè

Evidenti attriti in seno alla maggioranza (Lega e FdI) sono emersi sia al Senato e sia alla Camera sulla crisi ucraina e armi e sulle partecipate di Stato

Guerra in Ucraina e nomine dividono il governo Meloni più di Mosè

Ciò che era emerso, anche non troppo velatamente, durante le comunicazioni in Senato della premier Meloni in vista del Consiglio europeo che prende inizio oggi a Bruxelles, e cioè un distanziamento interno alla maggioranza di governo sul tema Ucraina e non solo, si è andato a consolidare ieri alla Camera. E anche se i protagonisti si sono affrettati a rispedire al mittente ogni possibile ipotesi di divisione interna, c’è comunque un fuoco che continua ad ardere sotto le braci. 

 

Prima al Senato con Romeo e poi alla Camera, la Lega infatti  ha scagliato delle vere e proprie bordate mascherate a Meloni. Innanzitutto lasciandola sola in Aula, circondata dai suoi fedelissimi senza ministri verdi, ed era già successo il giorno prima a Palazzo Madama, e poi anche ieri a Montecitorio. Sola sì fino a quando dopo un solerte tweet di Calenda «Il governo è già in crisi», non ha fatto apparire magicamente in aula Valditara, Locatelli e Calderoli.

 

Il messaggio della Lega alla premier è dunque chiaro e netto sia sull’Ucraina con il dissenso espresso durante le dichiarazioni in Senato dal capogruppo della Lega in Senato Massimiliano Romeo contro «la tirannia del pensiero dominante» giudicato «infelice» e «scomposto» da Meloni e sia sul tema delle nomine nelle partecipate di Stato che al momento non è vissuto molto bene da Salvini per il timore che Fratelli d’Italia voglia fare il pieno delle cariche. Il Carroccio chiede infatti almeno un ad nelle aziende di prima fascia mentre per ora, secondo quanto circolato finora, avrebbe solo la nomina ad di Terna. 

 

Ma il vero nocciolo della questione nomine riguarda però l’Eni, con Meloni che vuole la riconferma di Claudio Descalzi e di Del Fante a Poste Italiane, e Enel con lo spostamento di Stefano Donnarumma da Terna. Una scelta non condivisa dai leghisti che avrebbero voluto invece un grande ricambio ai vertici Enel, considerando anche che alla direzione della società in pole c’è il nome di Paolo Scaroni, su cui Berlusconi non vuole arretrare.

 

A questo punto toccherà a Meloni tenere unito il governo e non farlo separare come fece con il mare Mosè (cit della premier alla Camera in replica al deputato dei Verdi-Si, Angelo Bonelli che le aveva fatto vedere due pietre del Po per parlare di siccità, “Presumo che lei non voglia dire che in 5 mesi ho prosciugato l'Adige, nemmeno Mosè. Io non sono Mosè, caro Bonelli, la ringrazio che mi riconosca questi poteri ma non ce li ho”).

 

Intanto fonti di governo assicurano che «il caso è chiuso», anche se c’è voluto un colloquio chiarificatore tra Meloni e Salvini.

 

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