L’ultimo rapporto Censis

Sanità pubblica al bivio: l’Italia tra eccellenza e disuguaglianza

Liste di attesa interminabili spingono verso il privato, mentre le differenze regionali creano un sistema a due velocità. A rischio il diritto alla salute

Sanità pubblica al bivio: l’Italia tra eccellenza e disuguaglianza

Sanità Pubblica: un diritto a rischio? In Italia, il diritto alla salute si scontra con la realtà delle liste di attesa. Il 40% degli italiani, di fronte a tempi insostenibili, si rivolge al settore privato, aggravando le disuguaglianze sociali. La carenza di medici aggrava la situazione, mettendo in pericolo soprattutto i meno abbienti.

 

La sperequazione sanitaria 

Il dilemma delle liste di attesa. L'ultimo rapporto Censis evidenzia una crescente disparità nell’accesso alle cure in Italia. Mentre il 60% degli italiani apprezza i servizi sanitari pubblici, il restante 40% è costretto a cercare alternative private a causa delle lunghe attese. Questo scenario crea una divisione netta tra chi può permettersi cure immediate e chi, invece, deve attendere, spesso a rischio della propria salute.

La disparità regionale. Il sondaggio Censis su 2mila cittadini rivela che quasi la metà valuta positivamente la sanità della propria regione. Tuttavia, un cittadino su cinque la giudica insufficiente, con un marcato divario tra nord e sud Italia. Questa disuguaglianza regionale accentua la divisione tra una sanità di serie A e una di serie B, dove il reddito e la geografia determinano l’accesso alle cure.

 

Il rapporto Censis in dettaglio

Allarme Sanità: due velocità di cura in Italia

Il 21° rapporto “ospedali e salute” dell’AIOP e del Censis suona un campanello d’allarme: l’Italia è a un bivio, con una sanità divisa tra chi può permettersi cure immediate e chi è costretto ad aspettare. Nonostante il 60% degli italiani si dichiari soddisfatto del servizio pubblico, le lunghe liste di attesa stanno creando un sistema sanitario a due velocità, dove il reddito diventa il fattore determinante per l’accesso alle cure.

La divisione tra sanità di serie A e B non implica differenze nella qualità delle cure offerte, ma piuttosto nell’accessibilità. La sanità pubblica, garantita dalla Costituzione come universale e quasi gratuita, è apprezzata da coloro che hanno la pazienza di attendere. Tuttavia, quando l’urgenza bussa alla porta, come nel caso di una necessaria colonoscopia dopo il rilevamento di sangue occulto, le attese possono diventare insostenibili. In questi casi, chi ha le risorse si rivolge al privato, mentre chi non le ha rischia la propria salute. Il 42% dei cittadini meno abbienti è già costretto a rinunciare alle cure, e il Censis mette in guardia: le lunghe attese stanno spingendo anche i più vulnerabili verso il privato, aggravando le disuguaglianze e impoverendo ulteriormente alcune fasce della società.

 

Nord-Sud e le liste d’attesa

Un recente sondaggio Censis su un campione di 2mila cittadini rivela che meno della metà (47,7%) ha una percezione positiva del servizio sanitario regionale. Di questi, solo l’8,7% lo considera ottimo e il 39% buono. Un 28,1% si accontenta di un giudizio medio, mentre un significativo 22,4% lo boccia come insufficiente. La disparità si accentua tra le regioni: nel nord-est solo il 9,4% è insoddisfatto, a fronte di un allarmante 35,2% nel Mezzogiorno, evidenziando un divario sanitario tra nord e sud.

Le lunghe liste di attesa emergono come uno dei nodi critici del sistema. Secondo il rapporto, nell’ultimo anno, il 16,3% degli utenti ha cercato servizi sanitari fuori dalla propria regione, spesso spinti dalle attese eccessive (31% dei casi). Inoltre, il 34,9% ha optato per il settore privato, pagando di tasca propria, di fronte all’impossibilità di attendere. Questi dati riflettono una realtà in cui la mobilità sanitaria e l’accesso alle cure diventano un lusso non alla portata di tutti, creando un sistema a due velocità basato su reddito e geografia.

 

Crisi sanitaria: il sacrificio dei meno fortunati

Nel 2023, il dato allarmante è che il 42% dei pazienti con redditi fino a 15mila euro ha dovuto posticipare o rinunciare alle cure mediche. Non potendo accedere al servizio sanitario nazionale né permettersi la sanità privata, questa fascia di popolazione si trova in una situazione critica. Tra gli italiani, il 36,9% ha sacrificato altre spese per garantirsi le cure sanitarie, con una percentuale che sale al 50,4% tra i redditi più bassi e scende al 22,6% tra i più alti.

Il Ministro della Salute Orazio Schillaci ha definito intollerabile la situazione attuale, sottolineando come già dal 2017 l’Istat evidenzi che in Italia chi guadagna di più vive più a lungo rispetto a chi ha un reddito inferiore. Schillaci ha messo in luce anche il fatto che il 51% degli italiani si rivolge direttamente alla sanità privata, senza tentare prima il servizio pubblico, un segnale di sfiducia che necessita di essere indirizzato. Il Ministro ha ribadito che l’Italia eccelle in Europa in vari ambiti sanitari e che è fondamentale cambiare la narrazione del servizio sanitario nazionale. Ha poi evidenziato l’importanza di ridurre le liste di attesa come priorità del governo, annunciando un imminente piano d’azione e l’intenzione di superare il limite di spesa sulle assunzioni entro l’anno.

 

Emergenza medici: una sfida per l’Italia 

La carenza di medici rappresenta una delle sfide più gravi per il sistema sanitario italiano. La situazione è aggravata dal numero chiuso nelle facoltà di medicina, una misura che ha ridotto drasticamente il numero di medici disponibili. Durante la pandemia, questa problematica è diventata evidente, soprattutto per quanto riguarda la scarsità di medici anestesisti, essenziali per la gestione delle terapie intensive. Anche se si decidesse di abolire il numero chiuso oggi, ci troveremmo di fronte a un orizzonte temporale di almeno 9 anni prima di vedere un incremento significativo nel numero di medici qualificati.

Le disparità regionali nel sistema sanitario italiano non fanno che esacerbare il problema.

Regioni come il Trentino offrono condizioni di lavoro decisamente più vantaggiose per i medici di base, con stipendi che superano del 50% la media nazionale, contributi per l’affitto, studi medici finanziati dalla regione e supporto infermieristico garantito dalle ASL locali. Queste condizioni attrattive non solo creano un divario tra le varie regioni d’Italia ma incentivano anche la fuga di medici verso il settore privato o all’estero, dove possono aspettarsi retribuzioni ancora più elevate. La combinazione di questi fattori porta a una distribuzione disomogenea dei medici sul territorio, con alcune aree che si trovano a fronteggiare una carenza critica di personale sanitario.

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