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IL CASO

Giustizia e Potere: Palamara al telefono apre il vaso di Pandora

Ricostruzione del “Caso Palamara” attraverso le intercettazioni del PM accusato di corruzione. Uno tsunami sull’ANM con il Csm al centro delle manovre

Giustizia e Potere: Palamara al telefono apre il vaso di Pandora

Palamara al telefono offre uno spaccato del mercato delle nomine in magistratura.

 

Le intercettazioni del pm accusato di corruzione aprono il vaso di Pandora della giustizia, con il Csm al centro delle manovre per piazzare colleghi di corrente e amici nei posti chiave degli uffici giudiziari.

 

Le vicende della Giustizia italiana si susseguono senza sosta, sollevando polemiche e causando dimissioni illustri. Ma soprattutto stanno mettendo in luce la profonda crisi che sta investendo il Consiglio Superiore della Magistratura e L’Associazione Nazionale Magistrati, senza dimenticare le ripercussioni a livello politico.

In questi ultimi giorni si sta nuovamente parlando del “Caso Palamara”, scoppiato un anno fa e ora balzato agli onori della cronaca con la pubblicazione, da parte di alcune testate, di parti di intercettazioni e chat con altri magistrati, personaggi dello spettacolo e dello sport, giornalisti e politici.

 

 

IL CASO PALAMARA

 

Ma in cosa consiste il caso Palamara? Il magistrato, ex consigliere del CSM ed ex presidente dell’ANM, pubblico Ministero a Roma, leader di Unicost (corrente moderata della magistratura), nell’estate dello scorso anno risulta indagato dalla procura di Perugia. L’accusa? Corruzione: stando al contenuto delle carte dell’inchiesta riportate da Repubblica, Luca Palamara è sospettato di aver accettato soldi e regali da Fabrizio Centofanti, arrestato per corruzione nel febbraio 2018. In particolare, risulterebbero 10 viaggi e il pagamento di lavori di ristrutturazione del valore di 60 mila euro per l'appartamento di Adele Attisani, amica di Palamara.

Secondo l’accusa Palamara avrebbe favorito lui, ex consigliere dell’imprenditore Francesco Bellavista Caltagirone (coinvolto in vicende giudiziarie, spesso terminate a suo favore), e anche altri indagati con una serie di candidature e di manovre per orientare delle indagini. Agli atti all’epoca risultano anche altri due episodi: 40 mila euro per appoggiare la nomina di Giancarlo Longo a procuratore di Gela (arrestato nel febbraio 2018); e il versamento di duemila euro in contanti per pagare un anello, regalo destinato ad Adele Attisani. 

 

Gli ultimi sviluppi dell’inchiesta a carico di Palamara. A fine aprile 2020 la Procura di Perugia deposita “migliaia e migliaia di pagine”, si legge su Repubblica, in cui si evincono le relazioni di Palamara e la sua rete di alleanze e strategie, e annunciando la fine dell’indagine. Che si conclude con l’accusa di corruzione ma solo per le vicende legate ai viaggi e alla ristrutturazione dell’appartamento: la corruzione in atti giudiziari legata a Longo è stata infatti archiviata.

La vicenda, già nel 2019, aveva avuto enormi ripercussioni: Palamara sospeso dal suo ruolo senza stipendio; 6 consiglieri del CSM costretti a dimettersi e sottoposti a procedimento disciplinare; le principali nomine giudiziarie ribaltate e il Ministro della Giustizia Bonafede che propone di nominare i membri del CSM con sorteggio, al posto dell’elezione prevista dalla Costituzione. Un vero e proprio terremoto all’interno del Csm.

 

Le intercettazioni e le chat di Palamara. Le conversazioni e le chat di Palamara mostrano gli intrighi e le manovre occulte che servivano a pilotare le nomine in tutta Italia: in quel periodo in particolare riguardano il procuratore di Roma. Come racconta sempre Repubblica, Palamara “parlava con tutti: imprenditori, politici e tanti magistrati”. In una nota della Procura generale della Cassazione, che si occupa dei provvedimenti disciplinari dei magistrati, si legge che il materiale inviato dalla Procura di Perugia è talmente corposo - “composto da un notevole numero di atti, tra cui diverse decine di migliaia di sms e chat, in larga parte di contenuto estraneo all'oggetto delle procedure” - che per un “celere esame” è stato costituito "un apposito gruppo di sostituti procuratori generali".

La Cassazione, nella stessa comunicazione, ha anche sottolineato le procedure in corso: oltre alla sospensione di Palamara, ci sono anche le azioni nei confronti dei componenti del Csm, poi dimessisi, di Corrado Cartoni, Paolo Criscuoli, Antonio Lepre, Gianluigi Morlini e Luigi Spina. Per quanto riguarda Cosimo Ferri, deputato di Italia Viva ugualmente sottoposto all’azione disciplinare essendo un giudice in aspettativa, la Suprema Corte ha ritenuto “inammissibile” il conflitto di attribuzione da lui sollevato quando ha scoperto di essere stato intercettato negli incontri e nelle conversazioni con Palamara.

Con la diffusione delle conversazioni, a distanza di un anno, si verifica quindi un nuovo tsunami nell’Anm. Luca Poniz (Area) e Giuliano Caputo (Unicost) si sono nel frattempo dimessi rispettivamente da presidente e segretario dell’Anm. 

La riforma del Csm torna così in cima agli impegni del Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che il 24 maggio su Facebook scrive:

 

«Il vero e proprio terremoto che sta investendo la magistratura italiana dopo il c.d. “Caso Palamara” impone una risposta tempestiva delle istituzioni. Ne va della credibilità della magistratura, a cui il nostro Stato di diritto non può rinunciare.

Nel mio discorso al Senato di mercoledì, tra i progetti da cui ripartire nel settore della giustizia, ho fatto riferimento alla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura: adesso non si può più attendere. Questa settimana porterò all’attenzione della maggioranza il progetto di riforma, su cui tra l’altro avevamo già trovato un’ottima convergenza poco prima che scoppiasse la pandemia.»

 

Ma gli sviluppi del “caso Palamara” non si fermano qui. Come riportano varie testate, tra cui Il Messaggero, è scattato il trasferimento d'ufficio, per incompatibilità ambientale, nei confronti del pm della Procura nazionale antimafia Cesare Sirignano, intercettato dal trojan inserito nel cellulare di Palamara. Lo ha stabilito il Csm a larga maggioranza. Sirignano, nelle conversazioni con Palamara, si informava su quello che è stato definito il “risiko” delle procure, in particolare quella di Perugia, commentando l'estromissione di Nino Di Matteo dalla Procura nazionale con a capo Federico Cafiero de Raho.

 

Ed è anche alla vicenda Di Matteo – Bonafede – Ministro per cui è stata richiesta la mozione di sfiducia lo scorso 21 maggio, poi respinta - che queste intercettazioni stanno aggiungendo ulteriori informazioni sulle modalità di scelta dei posti importanti da ricoprire anche al Ministero. 

Vicende che hanno toccato da vicino anche Fulvio Baldi, capo di Gabinetto del Ministero ed esponente di Unicost. Della stessa corrente fa parte anche Francesco Basentini, eletto a capo del DAP da Bonafede (fino alle dimissioni arrivate a maggio 2020). Come riporta Il Fatto Quotidiano, Baldi si è dimesso dal suo ruolo dopo la pubblicazione sul sito delle conversazioni con Palamara. Non è indagato ed è estraneo alle indagini, ma le registrazioni sono state rese pubbliche per mostrare quanto potere avesse l’ex presidente dell’ANM e in che modo funzionano le correnti della magistratura, come si muovono per far aggiudicare ai propri soci dei ruoli di prestigio. Il CSM ha approvato il ritorno in magistratura come sostituto procuratore generale della Cassazione di Baldi lo scorso 21 maggio.  

Secondo quanto riportato sempre dal Fatto Quotidiano, fonti vicine al Ministro hanno sottolineato come Bonafede non abbia apprezzato le “logiche correntizie” che si evincono nelle conversazioni telefoniche tra Baldi e Palamara.

 

Bonafede e la mancata nomina di Nino di Matteo al DAP - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. La vicenda tra il Guardasigilli del Movimento 5 Stelle e del Magistrato antimafia ha inizio negli studi di Non è l’Arena di La7, durante un dibattito sulla concessione degli arresti domiciliari ad alcuni boss mafiosi con problemi di salute, con motivazione il timore della diffusione del coronavirus. Alcuni giorni prima infatti il capo del DAP, Francesco Basentini, eletto nel 2018, si era dimesso sia per le polemiche legate a queste concessioni, che per le rivolte avvenute nelle carceri nei giorni del lockdown, costate la vita a 12 detenuti.

Alcuni ospiti in studio ipotizzano quindi che il nuovo capo del DAP potesse essere proprio Di Matteo: il magistrato decide di chiamare in trasmissione, raccontando della vicenda con Bonafede. Ossia che il ministro gli aveva all’inizio proposto l’incarico, per poi ritirarlo: lui stesso era venuto a conoscenza - informazioni che dovevano essere note anche al ministro, sottolinea – di lamentele ricevute da capi mafiosi. Di Matteo è infatti conosciuto per essere favorevole al mantenimento di pene durissime per i mafiosi, come il regime 41 bis della legge 354/1975, più volte considerato lesivo dei diritti umani dal Consiglio d’Europa.

 

Di Matteo racconta, nella sua telefonata: Nel giugno del 2018 […] venni raggiunto da una telefonata del ministro Bonafede, il quale mi chiese se ero disponibile ad accettare il ruolo di capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria o in alternativa quello di direttore generale degli Affari penali. […] Chiesi 48 ore di tempo per dare una risposta. Nel frattempo - questo è molto importante che si sappia - alcune note informazioni che il gruppo operativo mobile (GOM) della polizia penitenziaria aveva trasmesso alla procura nazionale antimafia – ma anche alla direzione del DAP, e quindi penso fossero conosciute dal ministro – avevano descritto la reazione di importantissimi capimafia, legati anche a Giuseppe Graviano e altri stragisti, all’indiscrezione che io potessi essere nominato capo del DAP. Quei capimafia dicevano: “se nominano Di Matteo è la fine”. Andai a trovare il ministro […] avevo deciso di accettare la nomina a capo del DAP, ma improvvisamente il ministro mi disse che ci avevano ripensato e stavano pensando di nominare il Dott. Basentini e mi chiese di accettare il ruolo di Direttore Generale al Ministero. Io il giorno dopo gli dissi di non contare su di me che non avrei accettato”.

 

Dopo la chiamata di Di Matteo, anche Bonafede telefona in studio, respingendo tutte le accuse. In un post pubblicato su Facebook il giorno dopo, quindi il 4 maggio 2020, il Ministro dà una versione diversa dell’accaduto, sottolineando che:

“L'idea trapelata nel vergognoso dibattito di oggi, secondo cui mi sarei lasciato condizionare dalle parole pronunciate in carcere da qualche boss mafioso è un'ipotesi tanto infamante quanto infondata e assurda: è sufficiente infatti ricordare che, quando decisi di contattare il Dott. Di Matteo, quelle esternazioni di detenuti mafiosi in carcere erano già presso il mio Ministero da qualche giorno.  […] Sono consapevole che le mie scelte e le mie decisioni possono piacere o meno ma rigetto ogni e qualsiasi illazione al riguardo.

Parlammo del DAP o di un ruolo in qualche modo equivalente a quello che era stato di Giovanni Falcone (che avrebbe richiesto più tempo).

Il giorno dopo, vale a dire il 19 giugno 2018, dissi all’incontro con il Dott. Di Matteo (il quale era orientato per il DAP) che ritenevo che questa seconda opzione fosse la migliore e la più adatta. La mia valutazione era molto chiara: l’arrivo di Di Matteo avrebbe rappresentato un segnale chiaro e inequivocabile alla criminalità organizzata. Più tardi ricevetti una chiamata del dottor Di Matteo, il quale mi chiese un secondo incontro, che si svolse l'indomani (mercoledì 20 giugno 2018, ore 11:00).

In quell'occasione mi disse che avrebbe preferito il DAP.

Con profondo rammarico, gli spiegai che, dopo l'incontro del giorno prima, avevo già assegnato quell'incarico a un altro magistrato.”

 

La vicenda Palamara  Matteo Salvini

Le ultime pubblicazioni sui giornali riguardanti i contatti di Palamara hanno coinvolto anche Matteo Salvini. In particolare, La Verità riporta una conversazione con il procuratore capo di Viterbo Paolo Auriemma (non indagato), risalente al 2018, quando Salvini era Ministro dell’Interno ed era coinvolto nel caso Gregoretti. Auriemma afferma che “Illegittimamente si cerca di entrare in Italia e il ministro dell’Interno interviene perché questo non avvenga” e Palamara replica: “Ha ragione ma va attaccato”.

Ma non solo. In un SMS inviato da Palamara a Luigi Patronaggio, procuratore di Agrigento, si legge, come pubblicato dal Fatto Quotidiano: “Carissimo Luigi, ti chiamerà anche Legnini, siamo tutti con te”. È il 24 agosto 2018 e Salvini il giorno dopo viene iscritto sul registro degli indagati per il caso Diciotti. Legnini è all’epoca il vicepresidente del Csm.

In seguito a queste intercettazioni, Matteo Salvini ha chiesto a Mattarella di sciogliere il Csm, che intanto apre una pratica sui magistrati come riporta l’Ansa.

Lo scandalo che sta investendo la Giustizia sembra però destinata a essere travolta da ulteriori colpi di scena.

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