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La vicenda Zaki

Egitto, i giudici: Patrick Zaki resta in carcere altri 45 giorni

Arrivata la sentenza. L’universitario egiziano di Bologna e attivista per i diritti umani è detenuto da 10 mesi: rischia l’ergastolo per sovversione

Egitto, i giudici: Patrick Zaki resta in carcere altri 45 giorni

Ieri l’udienza per decidere la sorte di Patrick Zaki, oggi la decisione dei giudici: resta in carcere altri 45 giorni lo studente egiziano dell’Università di Bologna, detenuto dal 7 febbraio 2020 al Cairo, con le accuse di terrorismo, violenza, minaccia all’ordine pubblico e alla sicurezza. Si confermano, quindi, le indiscrezioni della vigilia. Anche il legale dell’attivista, Hoda Nasrallah, era pessimista e ipotizzava un prolungamento della carcerazione: «Come di consueto non c’è una data precisa per la prossima udienza sulla custodia cautelare» ha commentato l’avvocato all’uscita. Ieri Zaki ha partecipato all’udienza, che si è svolta presso l’accademia di polizia adiacente al carcere di Tora, alla periferia sud del Cairo. Per la sua liberazione e quella di altri giovani attivisti si sono mobilitati non solo i social, ma anche attori come Scarlett Johansson. 

 

Chi è Patrick Zaki

Patrick George Zaki ha 27 anni, è nato a Mansura, a circa 120 km a nord est del Cairo, ed è cristiano copto. A Bologna frequenta una master internazionale di Studi di Genere, sostenuto dall’Unione europea, ma collabora anche come ricercatore con l’associazione per i diritti umani EIPR, Egyptian Initiative for Personal Rights. A Bologna Zaki ha vinto una borsa di studio, dopo una rigorosa selezione, per partecipare al prestigioso master internazionale GEMMA, un corso di studio unico in Europa sugli studi di genere. «Da quando ha iniziato le sue attività all’Università di Bologna - ha dichiarato il prorettore dell’ateneo italiano, Mirko Degli Esposti - Patrick ha partecipato al corso con grande entusiasmo, competenza e professionalità. Tutte le testimonianze raccolte da parte dei docenti e delle studentesse e studenti che lo hanno conosciuto restituiscono un ritratto molto diverso da quanto sembrano indicare le autorità egiziane».

 

La vicenda Zaki, la ricostruzione della storia

Tutto inizia il 7 febbraio 2020, quando Zaki torna a casa in Egitto. Al suo arrivo all’aeroporto del Cairo viene avvicinato da agenti dei servizi di sicurezza, che lo interrogano per ore e lo arrestano tenendolo in isolamento. L’accusa è di «istigazione al rovesciamento del governo e della Costituzione». Lo studente viene poi trasferito alla centrale di polizia di Mansoura e successivamente in cella nella stessa città natale. Secondo quanto riferito dall’ong EIPR a Mansoura «i pubblici ministeri gli hanno contestato i reati di istigazione a proteste e propaganda di terrorismo sul proprio profilo Facebook». 

 

I suoi legali riferiscono che Zaki viene torturato, mentre è bendato, e sottoposto a scosse elettriche. Sarebbe stato fermato in seguito a un ordine di cattura spiccato nel 2019, ma mai notificato. Secondo quanto riferito sempre dagli avvocati a Repubblica, durante gli interrogatori gli sarebbe stato chiesto «dei suoi legami con l'Italia e con i parenti di Giulio Regeni». Nel frattempo viene rinnovata la detenzione preventiva, ogni 15 giorni o poco più, mentre lo studente compare in udienza con i capelli rasati. Rischia una condanna all'ergastolo (25 anni solo per l'accusa di istigazione e propaganda di terrorismo).

 

In campo per Patrick Zaki anche gli attori, come Scarlett Johansson

A rivolgere un appello alle autorità egiziane per la liberazione di Patrick Zaki e altri 3 attivisti di EIPR è stata, il 3 dicembre, anche la star di Hollywood Scarlett Johansson: in un video di tre minuti l’attrice è apparsa senza trucco, con i capelli raccolti e con la voce commossa. Ha chiesto la scarcerazione di tre dirigenti della ong che si batte per i diritti civili e del suo ricercatore, Zaki appunto, dopo aver lanciato un atto di accusa nei confronti del paese dove sono detenuti: «Far sentire la propria voce in Egitto oggi è pericoloso». 

 

La voce della Johansson si unisce a quelle di diversi Paesi, come l’Italia, e di Amnesty International, secondo cui il governo egiziano è responsabile di numerose sparizioni o detenzioni di rappresentanti politici e attivisti per i diritti umani. Il portavoce della stessa Amnesty International Italia, Riccardo Noury, ha commentato la decisione di conferma della detenzione definendola "sconcertante", "vergognosa" e «che lascia senza fiato e sgomenti»: « È veramente il momento che ci sia un’azione internazionale guidata e promossa dall’Italia per salvare questo ragazzo, questo studente, questa storia anche italiana, dall’orrore del carcere di Tora in Egitto». 

 

Ma finora la risposta delle autorità egiziane è stata dura, con accuse di ingerenze rivolte all’Unione europea. Sono state negate le torture e i media locali definiscono l’impegno di Zaki per i diritti dei soggetti LGBTQ «pericoloso per la pubblica morale». 

Dal canto suo l’UE ha attivato il Servizio europeo per l'azione esterna (Seae), l’organismo che gestisce le relazioni diplomatiche con i paesi extra Unione. E’ guidato dall’Alto rappresentante Josep Borrell e ha seguito la vicenda e, tramite il portavoce, fin dagli scorsi mesi aveva assicurato di voler sostenere «in pieno le autorità italiane». 

 

Le analogie col caso Regeni

La vicenda di Zaki in Italia viene accostata a quella di Giulio Regeni, lo studente friulano di 28 anni, dottorando di Cambridge (Regno Unito), che al Cairo studiava Dinamiche sindacali e che in Egitto era stato rapito il 25 gennaio 2016 in occasione del 5° anniversario della rivolta di piazza Tahrir, per poi essere ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo, sul ciglio della strada che collega la capitale egiziana ad Alessandria. Il suo corpo presenta evidenti tracce di torture. A distanza di quasi 5 anni non è stata ancora fatta chiarezza sulla sua morte: dopo un lungo braccio di ferro con le autorità giudiziarie egiziane e mentre si tenta anche una soluzione diplomatica, il 30 novembre 2020 la Procura di Roma annuncia di essere pronta a chiudere le indagini a carico di 5 agenti della National Security egiziana, accusati di sequestro. 

 

Come per Zaki si parla di torture e in entrambi i casi si assiste a una grande mobilitazione via social. Sul tavolo, però, ci sono interessi economici e strategici enormi: sia per quanto riguarda i settori della Difesa che per quello dell’energia, con contratti tra il governo del generale egiziano al-Sisi e compagnie come l’italiana Eni. Anche nella gestione del conflitto in Libia, che ha visto impegnata Roma nella mediazione tra il generale Haftar e il premier riconosciuto al-Serraj, l’Egitto gioca un ruolo chiave.

A unire il destino di Patrick Zaki e di Giulio Regeni è anche un’opera, firmata dalla street artist Laika su un muro di Villa Ada, nei pressi dell’Ambasciata egiziana a Roma (prima rimossa, poi riapparsa). Compaiono i due giovani abbracciati. La scritta recita: «Questa volta andrà tutto bene». 

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