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Roma preme sul Cairo

La morte di Giulio Regeni, cosa accadrà adesso. Processo e conseguenze

Rischiano il processo quattro 007 egiziani, la famiglia chiede il richiamo dell’ambasciatore. L’esperta dice: «Manca un garante esterno, l’UE tentenna»

La morte di Giulio Regeni, cosa accadrà adesso. Processo e conseguenze

A quasi cinque anni dal ritrovamento del corpo senza vita di Giulio Regeni, il 3 febbraio 2016 alla periferia del Cairo, la Procura di Roma è pronta ad aprire il processo nei confronti dei responsabili della morte dello studente friulano. Gli inquirenti italiani hanno notificato la conclusione delle indagini ed entro la fine di dicembre possono essere presentate memorie e testimonianze degli indagati. Si tratta di quattro agenti dei servizi segreti egiziani. Chiesta l’archiviazione, invece, per un altro 007 nei cui confronti sono state raccolte prove sufficienti. Ecco cosa è successo finora e come potrebbe svolgersi il processo. 

 

Il processo per la morte di Giulio Regeni: dove, come e quando

La Procura di Roma ha notificato, il 10 dicembre, la fine delle indagini sulla morte di Giulio Regeni. A rischiare il processo sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim insieme a Magdi Ibrahim Abdelal Sharif ai quali è contestato il reato di sequestro di persona pluriaggravato. Nei confronti di Sharif, ritenuto il torturatore e autore della morte di Regeni, è ipotizzato anche il concorso in lesioni personali aggravate (e non la tortura perché al momento dell’apertura del fascicolo non era ancora previsto lo specifico reato), oltre al concorso in omicidio aggravato. Gli inquirenti hanno spiegato di depositato la notifica "con rito degli irreperibili" direttamente ai difensori di ufficio, perché le autorità del Cairo non hanno mai comunicato il domicilio degli indagati. 

 

Ora i legali, come previsto dal Codice di procedura penale, hanno 20 giorni di tempo per produrre memorie, documenti o testimonianze spontanee degli indagati, dunque entro fine dicembre. 

Poi sarà la volta del processo che sarà «uno solo» e «si svolgerà in Italia con le garanzie procedurali dei nostri codici» ha spiegato il Procuratore Michele Prestipino davanti alla Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Regeni.

 

La ricostruzione e le prove del caso Regeni

«Questo processo avrà al proprio centro la valutazione dell'impianto probatorio che la Procura di Roma ha in questi anni raccolto e messo in piedi» ha spiegato ancora Prestipino, riferendosi all’attività del Ros dei Carabinieri e dello Sco della Polizia, dalla quale è emerso che Giulio Regeni è stato vittima di torture e sevizie per giorni «per motivi abietti e futili» e «con crudeltà» come riportato nella documentazione degli inquirenti. Gli indagati – spiegano ancora gli investigatori – hanno causato a Regeni «acute sofferenze fisiche, in più occasioni ed a distanza di più giorni: attraverso strumenti dotati di margine affilato e tagliente ed azioni con meccanismo urente, con cui gli cagionavano numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico dorsale e degli arti inferiori; attraverso ripetuti urti ad opera di mezzi contundenti (calci o pugni e l'uso di strumenti personali di offesa, quali bastoni, mazze) e meccanismi di proiezione ripetuta del corpo dello stesso contro superfici rigide ed anelastiche».

 

Fondamentali le testimonianze raccolte durante due anni di indagini, che inchioderebbero soprattutto Sharif: «Abbiamo acquisito elementi di prova univoci e significativi. Questo è un risultato estremamente importante e non scontato - ha chiarito Prestipino - Abbiamo fatto di tutto per accertare ogni responsabilità: lo dovevamo a Giulio e all’essere magistrati di questa Repubblica».

 

Oltre il processo: le richieste della famiglia Regeni

E’ stato lo stesso procuratore a riconoscere il ruolo fondamentale delle indagini difensive condotte dai legali della famiglia Regeni e in particolare di Alessandra Ballerini, che però chiede di più. Prestipino, infatti, ha ammesso che ci sono «altri 13 soggetti nel circuito degli indagati» rimasti fuori dal fascicolo e che c’è stata una «mancata risposta ai nostri quesiti da parte delle autorità egiziane» che «ha impedito di proseguire negli accertamenti». Per questo Ballerini ha incalzato: «I diritti umani non sono negoziabili con petrolio, armi e soldi»chiedendo di «richiamare immediatamente l’ambasciatore per consultazioni in Italia. Da quando è stato reiniviato l’ambasciatore non sono stati fatti passi in avanti, anzi c’è stata recrudescenza. Bisogna dichiarare l’Egitto Paese non sicuro e bloccare la vendita di armi».

Ma proprio sul fronte della battaglia per i diritti umani l’Italia sembra essere stata lasciata sola. 

 

Diritti umani: l’Europa grande assente

La vicenda di Giulio Regeni si intreccia a quella di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna in carcere da 10 mesi al Cairo, dove è stato arrestato al suo ritorno in patria e dove è accusato di terrorismo e sovversione dell’ordine pubblico. Nonostante la mobilitazione in Italia, in entrambi i casi a mancare è stata una voce europea: se Amnesty International ha accusato le autorità del Cairo di  violazione dei diritti umani, Bruxelles ha coinvolto il Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), che gestisce le relazioni diplomatiche con i paesi extra Ue ed è guidato dall’Alto Rappresentante Joseph Borrel, ma senza che questo si traducesse in un’azione concreta: «Non c’è stata un’azione di pressioni unica concordata sull’Egitto, nonostante ci fossero tutte le condizioni per farlo.

 

Il paese ormai è un regime controrivoluzionario, dove sono venuti meno i principi che avevano animato la rivoluzione di quasi 10 anni fa, che aveva portato a rovesciare Moubarak. Il Governo fa sistematico ricorso a meccanismi di controllo di repressione che sono sotto gli occhi di tutti» spiega a The Italian Times Alessia Malcangi, ricercatrice presso il Dipartimento di Scienze sociali ed economiche dell’Università La Sapienza di Roma, dove insegna Storia contemporanea del Nord Africa e Medio Oriente. 

 

«Ciononostante l’unione europea ha tentennato e non riesce a esprimersi con una voce univoca. Piuttosto trovano spazio singole iniziative, a volte contraddittorie, da arte di diversi Paesi europei» aggiunge l’esperta, che è Non-resident Senior Fellow presso il Rafik Hariri Center for the Middle East, North Africa and Middle East Program dell’Atlantic Council di Washington.

 

La Francia "incorona" al-Sisi

E’ il caso della Francia che, proprio mentre la Procura di Roma notificava la fine delle indagini sul caso Regeni, ha accolto a Parigi il presidente egiziano al-Sisi, conferendogli anche la Legion d’Onore: «Il presidente Macron non solo ha conferito la massima onorificenza al generale al-Sisi, ma ha dichiarato di non voler trattare la questione dei diritti umani in Egitto perché il paese rappresenta un baluardo contro il terrorismo islamico. Il caso francese è la dimostrazione non solo della mancanza di unità interna all’Europa, ma anche di una certa rivalità tra i singoli Paesi e di un approccio individualistico anche a temi delicati, proprio come il rispetto dei diritti umani» conclude Melcangi.

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