Il Capo dello Stato ha chiesto un “governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”. Atteso che una maggioranza larga ci sarà (e anche un’opposizione costruttiva, il che non guasta), e che Mario Draghi ha già incassato la fiducia dei mercati è quella degli italiani in attesa di una larga fiducia in Parlamento, come risolvere il dilemma: governo tecnico o governo politico?
Un governo per definizione è politico, poichè i suoi atti incidono sulla vita delle persone e del Paese (ancor di più in tempo di pandemia e di conseguente crisi economica), il premier, per ora incaricato, Mario Draghi è un grandissimo tecnico ma anche l’accorta e abilissima guida politica della Bce tra i marosi della politica europea e mondiale, quindi trasferendosi a palazzo Chigi diventa a tutti gli effetti anche un leader politico. Il punto allora diventa: quale può essere l’assetto istituzionale migliore per fare in modo che i partiti che appoggiano il governo possano essere rappresentati come è giusto che sia ma senza fare danno, anche perchè nessuno sinora ha riflettuto abbastanza, e ancor meno ha fatto autocritica, sulla passata gestione dell’esecutivo.
Le strade sono due. La prima: Mario Draghi (di seguito, MD) fa un governo esclusivamente tecnico, riservando ovviamente a se stesso i rapporti con i capi dei partiti di maggioranza (quelli con l’opposizione sono paradossalmente più facili e vengono dati per scontati poichè il premier non farà certo come il suo predecessore che aveva del tutto snobbato il dialogo, nonostante i ripetuti inviti del capo dello Stato), in dialogo costante con il Parlamento e con il Quirinale.
La seconda: nomina i capi della maggioranza vicepresidenti del Consiglio ma senza portafoglio o deleghe, una sorta di ufficio politico senza diretta incidenza sull’azione dei ministri e sulla gestione operativa del governo. Non c’è alcun paragone possibile con i vicepresidenti del Conte1, cioè Salvini e Di Maio, rispetto ai quale il premier era solo un esecutore, mentre oggi MD ha ben altro mandato, esperienza e fiducia da parte del Paese e della comunità europea e internazionale per fare in modo che i rapporti siano rovesciati rispetto, sarebbero cioè i vicepresidenti ad essere “serventi” del premier.
D’altra parte, un metodo di consultazione della maggioranza va comunque trovato, evitando i vertici e tutto quanto può richiamare consuetudini che mal si adattano all’emergenza e alla necessaria serietà dei tempi. Vicepresidenti senza deleghe e senza Cencelli: vuol dire che Renzi e Zingaretti siedono allo stesso modo tra i vicepresidenti, con lo stesso formale incarico, così come Salvini e gli altri. Sono loro che devono essere attenti a porsi nel modo giusto rispetto agli interessi del Paese e rispetto al premier (quindi in modalità “tregua istituzionale”) poichè questa è la realtà al netto di ogni retorica sul ruolo dei partiti, che ovviamente restano storicamente importanti: ma è bene ricordare che il presidente della Repubblica martedì 2 febbraio non ha fatto che certificare il fallimento di un governo e delle forze politiche che lo sostenevano.