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Il ritratto di SuperMario

Ora il “Whatever it takes” di Mario Draghi è tutto per l’Italia

Se non ora quando? Il presidente Sergio Mattarella, con mossa meditata e determinata, chiama l’ex capo della Bce Draghi che nel 2012 salvò l’eurozona

Ora il “Whatever it takes” di Mario Draghi è tutto per l’Italia

Sergio Mattarella con poche sentite parole ha detto che avrebbe proceduto ad un governo “di alto profilo”, poi ha fatto diramare a Giovanni Grasso, portavoce del Quirinale, la convocazione di Mario Draghi per il 3 febbraio alle 12. Mentre la gran parte delle forze politiche certificava la propria irrilevanza discutendo del nulla e persino delle caselle di ministri, sottosegretari e alti burocrati in assenza di un presidente incaricato, il capo dello Stato aveva preparato con cura il piano A, l’unico possibile per salvare il Paese: Mario Draghi, l’unica personalità italiana di rilievo internazionale che nell’ultimo decennio è stato alla pari tra i capi di stato e di governo del pianeta, stimato da tutti e con la capacità di prendere decisioni non solo economiche ma autenticamente politiche quando nel 2012 ebbe a impegnare tutta la potenza di fuoco della banca centrale europea per comprare i titoli di Stato dei paesi in difficoltà, il celebre (e celebrato anche dalla Treccani) “Whatever it takes”.

 

Il piano A è un governo che prende in mano una situazione sfilacciata da mesi e mesi (non certo da dicembre), raddrizza la barra e porta il Paese all’elezione del nuovo presidente della Repubblica. Lo voteranno i grillini che non vogliono andare a casa e che vogliono difendere quel tanto di sociale che la loro presenza al governo, pur tra tanti errori e sprechi, ha partorito in un periodo non facile. Lo voterà il Pd, che dovrà per forza provare a riprendersi un ruolo, lo voterà Forza Italia (fu Berlusconi a sceglierlo come governatore della Banca d’Italia), si asterrà la Lega di Salvini ma Giorgetti, storico fan di Draghi premerà per votare sì. Giorgia Meloni, la più sveglia del centrodestra, un’ora dopo l’annuncio ha fatto sapere che avrebbe votato comunque “per il bene del Paese”.

 

Va anche detto che Matteo Renzi sapeva dove andava a parare, e così ha potuto tenere compatti i suoi, anche se a ben vedere ha fatto quasi un gol a porta vuota per l’inconsistenza della difesa avversaria. Giuseppe Conte ha fatto bene a tacere negli ultimi giorni (anche se faceva troppo sapere in giro che taceva, anche martedì sera) e può solo rammaricarsi di aver sempre rifiutato apporti esterni a cominciare dagli inutili Stati generali, mentre avrebbe potuto (allora) guidare lui il rafforzamento del suo governo. Tutti gli altri, a cominciare da Zingaretti, non pervenuti mentre il  “Bettinismo malattia senile del comunismo” è stato messo giustamente alla berlina nella chat di Claudio Velardi, Guido Crosetto  Massimo Micucci (e tanti altri).


 La Treccani e Branko. Qualche mese fa l’Istituto della Enciclopedia Italiana Treccani ha inserito anche nella storia linguistica la frase 

«Whatever it takes», («costi quel che costi»), usata da Draghi quando era alla guida della Bce durante la crisi economica del 2012, per stabilire in modo non equivocabile dai mercati il ruolo della Banca centrale europea nella difesa dell'euro. E in un sondaggio realizzato in tempi non sospetti dall’istituto di ricerca Quorum/YouTrend per Sky TG24 l'ex presidente della Bce, con il 59,3% dei consensi, è stato infatti certificato come la personalità che registra la maggiore fiducia da parte degli italiani. Il Whatever it takes è diventato anche una locuzione popolare, ben oltre il circuito politico ed economico, ed è provato anche dal fatto che Branko, il più importante astrologo italiano, abbia inserito il motto nel suo oroscopo quotidiano sul Messaggero: è accaduto all’inizio dell’autunno per il segno della Vergine, che è proprio quello che comprende la data di nascita di Mario Draghi.

 

Il Britannia e Città della Pieve. Prima degli otto anni alla Banca centrale europea, Draghi è stato governatore della Banca d’Italia, ha avuto un passaggio alla Goldman Sachs, ed era direttore generale del Tesoro con Carlo Azeglio Ciampi, quando vennero avviate in fretta e furia le privatizzazioni, e di quell’epoca si ricorda il suo passaggio a bordo del panfilo Britannia ad una riunione di investitori stranieri. Quando passa per Milano va a mangiare a Brera con la moglie, a Roma ha fatto il liceo dei gesuiti con Luca di Montezemolo ed altri. Per il resto da quando ha lasciato la Bce ha utilizzato il suo ufficio di ex governatore della Banca d’Italia in via Nazionale e ha passato diverso tempo in campagna, a Città della Pieve, suo luogo del cuore. Cesare Brandi ne descrive così la bellezza in Terre d’Italia: “la bellezza è l’incredibile turchino delle colline, e come questo turchino cominci dove si attenderebbe ancora il verde, e sia intenso, e preparato dai bagliori rossastri della terra, proprio come quei fondi azzurri che, nel Trecento, per rappresentare il cielo venivano preparati in terra rossa”. Di Città della Pieve è il Perugino, definito dal banchiere Agostino Chigi, che abitava nell’attuale palazzo del governo, “il meglio maestro d’Italia”. 

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