Vaccini e richiami

Vaccini, seconda dose: quando va fatta, perché si allungano i tempi

Pfizer esorta a rispettare i 21 giorni tra la prima e la seconda somministrazione, ma in Italia e diversi paesi si spostano gli appuntamenti. Ecco perché

Vaccini, seconda dose: quando va fatta, perché si allungano i tempi

Tiene banco in queste ore la questione dei richiami per i vaccini anti-Covid. In diversi Paesi, Italia compresa, si tende a spostare la data del richiamo per tutti i sieri che richiedono una doppia somministrazione (tutti tranne Johnson & Johnson). Ma nelle scorse ore la direttrice sanitaria di Pfizer ha esortato a rispettare i 21 giorni previsti dal protocollo autorizzato dall’Ema, l’agenzia europea per il farmaco.

Secondo gli esperti, comunque, non ci sarebbero problemi ad allungare l’intervallo tra le due dosi, che anzi permette di offrire il vaccino a un maggior numero di persone, in un lasso di tempo più breve, garantendo comunque una protezione contro il Covid. 

 

Pfizer: “Rispettare i 21 giorni”. Ma il governo esorta ad allungare i tempi

L’azienda farmaceutica, tramite la direttrice medica di Pfizer Italia Valeria Marino, ha esortato a rispettare i 21 giorni di intervallo tra la prima e la seconda dose, ricordando che “Non ci sono dati sugli effetti”. Diverse, però, le indicazioni del Governo che tramite il Comitato tecnico scientifico ha invitato ad allungare i tempi perché "non inficia l'efficacia della risposta immunitaria". Per questo Regioni come Liguria, Toscana, Emilia Romagna, Piemonte, Campania e Lombardia stanno dando appuntamento per la seconda dose anche a 5 settimane dalla prima.

 

Il motivo è semplice: allungare i tempi del richiamo permette, infatti, di avere più vaccini a disposizione e, quindi, di immunizzare più persone in un lasso di tempo inferiore, garantendo comunque una copertura. E’ quanto già avvenuto anche con altri sieri, come Moderna (somministrato anche a 42 giorni) o AstraZeneca nel Regno Unito, dove si è passati da 4 a 12 settimane per la seconda somministrazione. Secondo gli studi la prima dose protegge già dalle forme gravi della malattia nell'80% dei casi.

 

Bassetti: “Un rischio calcolato”

“Io parlerei di rischio calcolato, perché è vero che i vaccini sono stati approvati per essere somministrati all’interno di determinate finestre temporali che, per essere cambiate, necessiterebbero di nuovi trial in fase 3, ma non bisogna dimenticare l’esempio del Regno Unito: lì la seconda dose del vaccino AstraZeneca è stata somministrata anche dopo 12 settimane invece che 4. Significa che si possono allungare i tempi e questo permette un enorme vantaggio: poter vaccinare, nello stesso lasso di tempo, più persone possibili” spiega Matteo Bassetti, Direttore della Clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova.

 

Secondo richiamo con AstraZeneca o mix di vaccini?

Un’altra domanda ricorrente riguarda anche la possibilità di utilizzare vaccini diversi da AstraZeneca per il richiamo, in coloro che hanno ricevuto il siero di Oxford come prima dose, dopo che l’Unione europea non ha rinnovato il contratto di fornitura con l’azienda anglo-svedese. In questo caso i Paesi stanno procedendo in ordine sparso: in Germania, ad esempio, il richiamo sarà effettuato con Pfizer o Moderna; in Italia si pensa di proseguire con la seconda somministrazione con lo stesso siero, almeno finché non ci siano dati che permettano anche di “mischiare” i vaccini. Alcune Regioni, come Lombardia e Piemonte, stanno persino accettando le dosi del siero di Oxford, rifiutate in altri territori.

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