Si faceva chiamare Andrea Bonafede, aveva 59 anni ed era nato a Campobello di Mazara il 23 ottobre 1963. Ogni settimana si presentava alla clinica “La Maddalena” per sottoporsi alle sedute di chemioterapia per un tumore al colon e si scambiava messaggi di sostegno e solidarietà tra i pazienti in cura con lui. Fin qui sembrerebbe il racconto di una persona buona e onesta, ammalata sì ma con la voglia di vivere, e invece no: è la storia, l’altra “vita”, del super boss mafioso Matteo Messina Denaro catturato ieri dai carabinieri del Ros dopo una spasmodica ricerca durata trent’anni. L'ultimo dei Corleonesi ora si trova in carcere a L'Aquila.
La cattura col metodo dalla Chiesa
"Nell'ultimo mese avevamo capito che il cerchio si stava stringendo e sapevamo che ogni momento poteva essere quello buono. Negli ultimi giorni eravamo più consapevoli, ma la storia ci ha insegnato che nulla è scontato soprattutto quando si tratta di un capomafia". Così il comandante generale dei Carabinieri, Teo Luzi, ha commentato in un'intervista al Corriere della Sera gli eventi che hanno portato alla cattura di Matteo Messina Denaro."Le nostre ricerche - ha aggiunto - si sono sempre concentrate in Sicilia, eravamo pienamente consapevoli di dover trovare un buco nella rete di protezione del capo. Ma è bene sapere che si tratta di una rete stretta e non facilmente penetrabile, dopo la cattura tutto sembra semplice. Avevamo un pool di investigatori dedicati esclusivamente a questa indagine e con un gioco di squadra siamo riusciti ad afferrare il filo giusto. Il metodo del generale Carlo Alberto dalla Chiesa è quello tuttora applicato dai colleghi del Ros che prevede la perseveranza e soprattutto la scelta di utilizzare le tecniche investigative tradizionali. Vuol dire raccolta di tantissimi dati informativi dei reparti dei carabinieri, intercettazioni telefoniche e ambientali, verifiche sulle banche dati dello Stato, interrogatori".
"Questa è una battaglia vinta - ha aggiunto il generale - non è certamente la fine della mafia. Noi continueremo la lotta contro Cosa Nostra perché il cerchio non è chiuso e anzi le indagini devono andare avanti nella consapevolezza che il nemico è tuttora forte e capace di infiltrarsi nelle istituzioni. Quando la mafia non spara non vuole dire che non sia attiva, anzi. La cattura di Messina Denaro ci dà nuovi stimoli ad andare avanti proprio seguendo il metodo applicato finora. C'è un'altra rete, quella degli affari e delle infiltrazioni, che va smantellata"."Non ci sono misteri, né segreti inconfessabili su questo arresto - ha concluso Luzi -. Abbiamo indagato per anni e anni e abbiamo lavorato per fargli terra bruciata intorno. Fino a questo risultato straordinario che deve essere dedicato a tutte le vittime di mafia
La carta d’identità
"Le generalità utilizzate da Matteo Messina Denaro (con il nome Andrea Bonafede, ndr) non si rivelano falsificazioni grossolane", ha dichiarato il pm della procura di Palermo Paolo Guido. Con questo nome il super boss ha prenotato delle prestazioni sanitarie presso la clinica La Maddalena di Palermo, dove è stato individuato e arrestato ieri mattina. Messina Denaro è nato invece a Castelvetrano il 26 aprile 1962.
Diffusa anche la scheda con cui era registrato nella clinica palermitana, con il codice fiscale collegato ai dati relativi ad Andrea Bonafede.
Il vero Andrea Bonafede, è stato rintracciato e interrogato, ma non avrebbe risposto alle domande degli investigatori.
Il trasferimento in carcere
Matteo Messina Denaro, dopo l'arresto a Palermo da parte dei carabinieri del Ros, è stato trasferito a Pescara con un volo militare.A riportare la notizia è il quotidiano "Il Centro". Il super boss sarebbe stato poi trasportato e rinchiuso nel carcere de L'Aquila. L'istituto penitenziario, infatti, accoglie detenuti in regime di 41 bis, il cosiddetto carcere duro.
Come riporta il quotidiano abruzzese, l'aereo militare con a bordo il boss mafioso è atterrato a Pescara attorno alle 22 di lunedì. Scortato da numerose pattuglie dei carabinieri, è stato portato nella notte a L'Aquila.
Il covo e la ricerca dell'archivio del boss
Individuato e perquisito il covo di Matteo Messina Denaro. I carabinieri del Ros e dalla Procura di Palermo hanno trovato a Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, il nascondiglio del super boss. Il luogo è a pochi chilometri da Castelvetrano, il paese natale di Messina Denaro, ma nello stesso di Giovanni Luppino, l'uomo che, lunedì, ha accompagnato il capomafia alla clinica Maddalena dove poi è stato arrestato.
Durante la perquisizione, durata tutta la notte, sono stati rinvenuti oggetti di lusso, vestiti firmati e profumi ricercati ma niente armi. I carabinieri continuano però il loro lavoro di ricerca del famoso archivio del padrino trapanese che, secondo molti pentiti, dovrebbe contenere il tesoro di Totò Riina e le risposte a molti dei segreti delle stragi mafiose.