La guerra di Gaza non accenna a fermarsi, nonostante gli appelli della comunità internazionale e le testimonianze drammatiche dei civili coinvolti. Il conflitto tra Israele e Hamas, iniziato il 7 ottobre, ha causato la morte di 18.608 persone a Gaza, tra cui molti bambini, e di 116 soldati israeliani. La maggior parte dei palestinesi è stata costretta a fuggire dalle proprie case e a rifugiarsi nel campo di Rafah, al confine con l’Egitto, dove vivono in condizioni disumane. L’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi (Unrwa) ha lanciato un grido d’allarme, chiedendo un cessate il fuoco umanitario e la fine dell’assedio israeliano. Intanto, una fonte dell’intelligence Usa ha rivelato a Cnn che quasi la metà delle bombe sganciate da Israele su Gaza sono “stupide”, cioè non guidate e quindi poco accurate.
La strage di Rafah
Rafah è diventato il simbolo della sofferenza dei palestinesi, costretti a vivere in una comunità di tende, senza acqua, elettricità, cibo e medicine. Il campo, che prima della guerra ospitava 280.000 persone, ora ne accoglie oltre un milione, stipate in meno di un terzo del territorio originario di Gaza. Gli aiuti umanitari sono insufficienti e spesso non riescono a raggiungere chi ne ha più bisogno. La gente ha fame e disperazione, e si aggrappa a qualunque cosa possa alleviare la sua miseria. Il direttore dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, ha raccontato al Forum mondiale per i rifugiati a Ginevra la situazione drammatica che ha visto di persona: “La vista di un camion che trasporta aiuti umanitari ora provoca il caos. La gente ha fame. Fermano il camion e chiedono del cibo, e lo mangiano per strada. Definire scene del genere disumane è un eufemismo. L’ordine civile sta crollando”.
Le bombe “stupide” di Israele
Secondo una fonte dell’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale statunitense, citata da Cnn, il 45% delle bombe sganciate dagli aerei israeliani su Gaza sono “stupide”, cioè non guidate e quindi poco propense a colpire bersagli specifici. Si tratta di circa 13mila bombe terra aria o razzi, su un totale di 29mila, lanciati su Gaza dopo il 7 ottobre. Il resto sono munizioni di precisione a sistemi guidati, ma anche queste non sono esenti da errori. Il risultato è una pioggia di fuoco indiscriminata, che ha distrutto interi quartieri, scuole, ospedali e moschee, uccidendo migliaia di persone.
Netanyahu: “Niente ci fermerà, andremo fino in fondo”
Israele non ha intenzione di fermare la sua guerra contro Hamas, nonostante le pressioni internazionali e le condanne per le violazioni dei diritti umani. Lo ha ribadito il premier Benjamin Netanyahu, durante una visita a una base militare nel sud del Paese. “Andremo fino in fondo, non c’è dubbio. Lo affermo - ha detto - nonostante il dolore enorme, ma anche nonostante le pressioni internazionali. Niente ci fermerà, andremo fino in fondo, finché non saremo vittoriosi, e niente di meno”. Netanyahu ha difeso l’operazione militare israeliana, sostenendo che è necessaria per difendere la sicurezza di Israele e per eliminare la minaccia di Hamas, che continua a lanciare razzi da Gaza. Ha inoltre accusato il gruppo islamista di usare i civili palestinesi come scudi umani, e di sfruttare la situazione umanitaria per ottenere vantaggi politici.
L’appello dell’Unrwa
L’Unrwa, che assiste i rifugiati palestinesi dal 1949, ha chiesto con forza la fine della guerra e dell’assedio, che impedisce l’ingresso di aiuti sufficienti a Gaza. Il direttore Lazzarini ha sottolineato la necessità di “fornire un’assistenza umanitaria degna di questo nome”, perché “cosa possono offrire circa 100 camion al giorno a 2,2 milioni di persone?”. Ha inoltre richiamato la responsabilità della comunità internazionale di “garantire tutti insieme che il diritto internazionale umanitario continui a rappresentare il quadro normativo del conflitto, non può essere selettivo o reinterpretato”. Infine, ha avvertito che la popolazione di Gaza “sta esaurendo tempo e opzioni”, e che non è realistico pensare che possa resistere a condizioni invivibili di tale portata. “Soprattutto quando il confine è così vicino”, ha aggiunto, facendo riferimento al rischio di una fuga di massa verso l’Egitto.