In una svolta storica, per la prima volta in cinquant’anni, Israele si è trovata isolata sul palcoscenico mondiale quando gli Stati Uniti, in un cambio di politica inaspettato, hanno scelto di astenersi da un voto cruciale all’ONU. La risoluzione, passata con il sostegno della comunità internazionale, ha imposto un immediato cessate il fuoco a Gaza e ha richiesto il rilascio degli ostaggi. Tuttavia, il testo non menziona la data del 7 ottobre e omite la qualifica di “permanente” per il cessate il fuoco, nonostante le richieste della Russia.
Nel frattempo il New York Times online ha riferito che Hamas ha respinto un accordo negoziato a Doha, che avrebbe visto il rilascio di 40 ostaggi vulnerabili in cambio di un cessate il fuoco temporaneo, necessario per continuare i colloqui. Israele aveva accettato questa condizione, ma in seguito alla risoluzione ONU, Hamas ha cambiato la sua posizione, insistendo su un cessate il fuoco permanente.
Inoltre, la situazione è complicata dalla campagna elettorale americana e dalle divergenze tra il presidente Biden e il primo ministro Netanyahu, con quest’ultimo che si allinea più strettamente alle politiche di Trump e che mira a neutralizzare la minaccia militare di Hamas prima delle elezioni di novembre, potenzialmente dando a Trump l’opportunità di mediare un accordo di pace. L’astensione degli Stati Uniti al voto ONU, su ordine di Biden, ha lasciato Israele in una posizione di solitudine senza precedenti.
Risoluzione storica all'Onu
Per la prima volta in sei mesi di conflitto, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha approvato una risoluzione che chiede un cessate il fuoco immediato a Gaza. La decisione è stata facilitata dall’insolita astensione degli Stati Uniti, un movimento che ha segnato un momento significativo nella politica internazionale e ha suscitato la disapprovazione di Israele.
La risposta di Israele non si è fatta attendere: il governo ha espresso forte contrarietà, definendo l’assenza del veto americano come un regresso dell’amministrazione Biden. La risoluzione, secondo lo Stato ebraico, omette di menzionare Hamas e non contribuisce alla liberazione degli ostaggi ancora detenuti nella Striscia di Gaza.
Mentre le trattative con Hamas proseguono a Doha, con la mediazione di Stati Uniti, Qatar ed Egitto, l’effetto più tangibile della posizione americana è stato l’annullamento, da parte del primo ministro Netanyahu, di un incontro a Washington, precedentemente richiesto dalla Casa Bianca, per discutere del conflitto e di un’operazione militare a Rafah.
In netto contrasto, Hamas ha accolto con favore il voto dell’ONU, mostrandosi aperta a negoziare uno scambio di prigionieri. L’organizzazione ha ribadito la sua posizione tramite Telegram, sottolineando la mancata risposta alle richieste fondamentali del popolo e la responsabilità del governo Netanyahu nel fallimento dei negoziati
Dichiarazioni e reazioni internazionali
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione, con l’approvazione unanime di 14 membri e l’astensione degli Stati Uniti, che invoca un “cessate il fuoco immediato durante il Ramadan, osservato da tutte le parti, per instaurare una tregua duratura e stabile, e per il rilascio immediato e senza condizioni di tutti gli ostaggi, assicurando altresì l’accesso umanitario per soddisfare le necessità mediche e umane”. Questa risoluzione ha guadagnato il consenso internazionale, incluso quello dell’Italia. Il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha accolto favorevolmente la risoluzione come “un primo passo positivo”, mentre il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha enfatizzato l’importanza della sua attuazione, affermando che “un insuccesso in questo momento sarebbe imperdonabile”.
La Francia ha proposto di andare oltre, sollecitando un cessate il fuoco “permanente” dopo la fine del Ramadan, il 9 aprile. Tuttavia, la reazione di Israele è stata di forte opposizione. L’ufficio del primo ministro israeliano, Benyamin Netanyahu, ha criticato l’astensione degli Stati Uniti come un evidente passo indietro rispetto alle posizioni precedentemente sostenute dall’inizio del conflitto. Secondo Netanyahu, questa mossa indebolisce gli sforzi bellici e quelli per la liberazione degli ostaggi, dando a Hamas la speranza che la pressione internazionale possa portare a un cessate il fuoco senza la liberazione dei prigionieri. L’ambasciatore israeliano all’ONU, Gilad Erdan, ha avvertito che dissociare il cessate il fuoco dal rilascio degli ostaggi compromette gli sforzi per la loro liberazione e ha condannato la risoluzione come vergognosa per non aver denunciato l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Il ministro degli Esteri israeliano, Israel Katz, ha dichiarato fermamente: “Non cesseremo il fuoco. Distruggeremo Hamas e continueremo la nostra lotta fino a quando l’ultimo ostaggio non sarà tornato a casa”.
Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, attualmente negli Stati Uniti per incontri con il segretario di Stato Antony Blinken e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan, ha affermato che Israele “non può moralmente cessare le ostilità a Gaza” finché non verranno liberati tutti gli ostaggi. In risposta alle critiche israeliane, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale degli USA, John Kirby, ha sostenuto che l’astensione americana al voto “non rappresenta un cambiamento di politica”, ribadendo che gli Stati Uniti hanno sempre condizionato il cessate il fuoco alla liberazione degli ostaggi. Kirby ha espresso delusione per la decisione di Israele di annullare l’invio della sua delegazione a Washington.
La risoluzione ONU è stata accolta come un “passo positivo” ma “non sufficiente” invece dal portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani. Egli ha enfatizzato la necessità di azioni concrete per implementare la risoluzione e porre fine agli attacchi, sollevando la questione del blocco a Gaza e la necessità di aiuti umanitari e finanziari per la ricostruzione. Kanani ha inoltre sollecitato il Consiglio di Sicurezza a ritenere Israele responsabile dei crimini commessi contro i palestinesi.
Il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, è atteso a Teheran per incontri con i funzionari iraniani, tra cui il ministro degli Esteri Hossein Amirabdollahian. Questa visita, come riportato dai media, compresa l’agenzia Mehr, è prevista per oggi, con una conferenza stampa programmata in seguito all’incontro.