Il medico scrittore

Ma chi e come oggi prepara i giovani medici che dovranno curarci?

L’Italia è nella media europea come numero di sanitari ma troppo spesso i giovani specialisti preferiscono andare a lavorare all’estero. Ecco perché

Ma chi e come oggi prepara i giovani medici che dovranno curarci?

Se in Italia i medici vanno in pensione (il tempo, purtroppo, passa anche per loro), diventa più acuto che in altre professioni il problema della preparazione di chi dovrà sostituirli. Il dibattito sulle Scuole di Specializzazioni si è riaperto quest'anno, in piena pandemia,  quando, con un improvviso quanto sorprendente provvedimento preso dal  Consiglio dei ministri si permetteva l'assunzione dei medici specializzandi, già a partire dal terzo anno di corso di formazione, onde sopperire a varie carenze, permettendo così un miglioramento del servizio: medici in formazione specialistica per contrastare l’emergenza e la carenza organica in Italia, con la possibilità di un contratto a tempo determinato e con orario parziale per consentire, contemporaneamente, di completare la specializzazione.


Tra le righe, la volontà di raggiungere gli obiettivi più volte annunciati come l’abbattimento del cosiddetto "imbuto formativo" attraverso borse di studio a disposizione degli specializzandi. Gli ultimi governi hanno infatti aumentato il numero complessivo di borse che dovrebbe essere calcolato in base alla necessità di personale specializzato, tenendo in considerazione il reale fabbisogno attuale e futuro. Per alcuni esponenti della maggioranza  lo scopo è quello di giungere alla capacità massima di 11.150, ampliando e riformando l' accesso alle Scuole preposte. Tuttavia, non è utile farsi trasportare dall'enfasi dell'onda emergenziale, in quanto è necessario salvaguardare il “numero programmato” per assicurare un determinato livello di strutture e servizi universitari e concentrarsi sul vero problema attuale della formazione medica: da non dimenticare che negli ultimi trent’anni sono diminuiti docenti e cattedre, con relativi reparti/unità operative. Per ottenere una decente preparazione specialistica infatti, appare impensabile e rischioso  avere una Scuola medica di perfezionamento  con un numero aperto. Oltre ad essere in contrasto con le tipologie esistenti  nel resto d'Europa, una cosa del genere sarebbe sbagliata e difficilmente gestibile: avremmo un sovrannumero di medici/specializzandi/studenti sproporzionati rispetto alle strutture che non sarebbero sufficienti per accogliere tutti nella dimensione pratico/didattica.


Dobbiamo essere realisti: è noto, e non solo agli addetti ai lavori, come funzionano certe Scuole, tant'è che alla fine del corso il medico-neospecialista si rende conto dei suoi limiti e, ahinoi, non per colpa propria. Ad esempio, in chirurgia, è facilmente immaginabile che per il medico-studente non sempre è possibile in 5 anni partecipare ad un numero congruo di interventi. All’estero infatti, qualora il medico non ha effettuato un determinato numero di interventi chirurgici, indagini diagnostiche e strumentali non può ottenere il diploma finale. In Italia, addirittura, esistono ancora Scuole di chirurgia, neurochirurgia, e medicina d'urgenza in ospedali universitari/policlinici dove non è operativo il pronto soccorso. Inoltre, Mirko Claus, presidente del sindacato dei medici specializzandi ha espresso perplessità e contrarietà sulle misure approvate e relative criticità. Claus si era già opposto anche all’approvazione dell’emendamento durante il processo di conversione in legge del decreto Calabria che già prevedeva l’assunzione degli specializzandi al penultimo e all’ultimo anno, in quanto proponeva una "frammentazione della formazione inaccettabile". Assumere nel Servizio Sanitario Nazionale un giovane medico in pieno percorso formativo può essere  una misura controproducente: la formazione sarebbe condizionata  per ottemperare alla richiesta di servizi, senza garantire né qualità né sicurezza. Per la FederSpecializzandi insomma, "con questo tipo di impostazione, le esigenze operative diventano predominanti rispetto alla formazione; non secondario è inoltre il peso della qualifica dirigenziale che corrisponde all’assunzione di una responsabilità piena, totale e autonoma, sostitutiva del personale medico in servizio anche in contesti che possono essere estremamente sfidanti".


Da sottolineare, che in questo clima e itinerario misto, gli specializzandi non possono essere formati correttamente da un personale medico di ruolo carente, demansionato e demotivato, stressato e oberato di attività già in tempi normali, che l'emergenza ha solo aumentato spesso in modo esponenziale, e non può fare pertanto da tutor, ossia supervisionare “serenamente” il lavoro dei medici/studenti. Anzi, la maggior parte di questi medici alla soglia dei sessanta sogna di andare in pensione il prima possibile, e se non tutti hanno cavalcato la possibilità di quota 100 è perche questa normativa impedisce l'attività libero-professionale per alcuni anni post-pensionamento. È dunque opportuno pensare ad una riforma, ma per rendere dignitosa una formazione di qualità e creare professionisti in grado di soddisfare al meglio le esigenze dei cittadini/utenti.


Un passo in avanti è stato fatto dal Decreto Legislativo 368, circa la formazione medico specialistica, con la possibilità per il medico specializzando di formarsi sia in contesti universitari sia negli ospedali sul territorio (certo, a patto che siano ospedali di alto livello specialistico e che il tutto  deve svolgersi sotto controllo e guida di tutor di qualità e di livello), e in un quadro normativo che tuteli il medico in formazione specialistica che sta acquisendo gradualmente competenze. In pratica invece, con l'utilizzo in emergenza dobbiamo considerare che l’autonomia, pur essendo  un elemento essenziale per l’identità stessa dello specializzando, potrebbe poi trasformarsi in carenze assistenziali. Occorrono tutele: c'è il dovere politico e morale di tutelare il malato che ha diritto ad essere assistito da una figura medica preparata adeguatamente, ma va tutelato anche lo specializzando che non deve gestire situazioni che vanno spesso ben al di là del suo livello formativo.


Nel contempo, è riemerso anche  il problema dei medici che andranno in pensione: secondo le stime dei sindacati in tre anni lasceranno il Servizio sanitario nazionale 24mila medici, che vanno sommati a un deficit calcolato  di circa 10mila Sanitari. Pochi medici in Italia? Su tale questione ecco alcuni tratti salienti del Sistema sanitario italiano in confronto con altri paesi europei: l’Italia è oggi quasi in linea con gli altri sistemi, il numero di medici generici/di base per 100mila abitanti (89,2) è inferiore a quello registrato in Germania (97,8) e Francia (152,9), ma resta superiore a quello del Regno Unito (76,4) e Spagna (74,7). Per quanto riguarda i medici specialisti , l’Italia (306,1) risulta tra i paesi a più alta densità di professionisti in Europa, vicino alla Germania (320,9); e, con gran sorpresa, ciò vale anche per i medici specialisti in Pediatria: infatti, in Italia, nonostante il numero risulti già alto rispetto all’intera popolazione (circa 29 specialisti pediatri ogni 100mila abitanti, contro i 17 della Germania e i 12 della Francia), il rapporto si alza ulteriormente  se si considera la sola popolazione infantile (0-14 anni): con 213 pediatri ogni 100mila bambini, l’Italia vien subito dopo la Grecia.


E’ allora necessario valutare altre problematiche, dalle varie branche specialistiche, all’anzianità della classe medica e  al suo impiego regionale, distrettuale e municipale. Anche se l’Italia sembra essere ricca di  tanti specialisti, particolari competenze risentono di gravi carenze. Il sindacato Anaao-Assomed stima che  per il 2025 la mancanza di oltre 4000 medici d’emergenza-urgenza, più di 3000 pediatri, e circa 1000 chirurghi generali, anestesisti e rianimatori, e medici di medicina interna. In questo periodo l’Italia sta esportando professionisti verso altre nazioni. Inoltre, fatto ancora più preoccupante, diversi concorsi banditi da Aziende ospedaliere pubbliche stanno andando deserti: i nuovi medici specialisti oltre a fuggire all’estero, preferiscono il privato, invece di essere esposti nei pronto soccorso e reparti italiani dove si collezionano denunce, minacce, aggressioni, ed anche una retribuzione non adeguata.

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