Il piano italiano per la ripresa

Debito, occupazione e Mes: ora le scelte per far ripartire il Paese

Mentre i partiti fanno ancora i conti con i risultati elettorali, il governo deve far fronte all’economia in crisi e ai piani per il Recovery Fund

Debito, occupazione e Mes: ora le scelte per far ripartire il Paese

Non ci sono più distrazioni all’orizzonte per il Governo: il voto  del referendum sul taglio dei parlamentari e sulle elezioni regionali non ha creato più di tanto scompiglio; la scuola è ripartita in presenza e in sicurezza ormai da circa 10 giorni, nonostante importanti strascichi operativi che interessano soprattutto alcune comunità locali; il numero di contagi resta per il momento stabile e inferiore alla media europea, con Francia, Inghilterra e Spagna che stanno seriamente pensando a nuove chiusure per arginare i contagi.

 

L’esecutivo è dunque libero da importanti incombenze, ma non da quella più grande di tutte che riscriverà, in meglio o in peggio questo lo vedremo, il futuro del nostro Paese dopo la catastrofe Covid-19: il Recovery plan, quindi la ripartenza dell’economia.

 

Per risollevare le sorti dell’Italia il governo deve tenere ben presente alcune grosse problematiche, che rappresentano dei veri e propri macigni per l’economia italiana, senza trascurare le crisi industriali irrisolte. I tavoli di crisi al Mise sono 120 in tutto, per un totale di 160 mila posti di lavoro, e riguardano principalmente l’ex Ilva, Alitalia, Embraco, Whirlpool, l’ex Alcoa.

 

I consumi stentano a ripartire

Prima di tutto la questione consumi, o meglio il crollo delle vendite. La tanto attesa ripartenza tarda ad arrivare, le famiglie non spendono a causa dei timori legati al futuro in particolar modo al lavoro, visto che non si sa ancora cosa accadrà quando finirà la cassa integrazione covid e quando verrà tolto il blocco ai licenziamenti imposto dal Governo. Le scadenze sono ormai prossime, il 31 dicembre 2020 la prima e il 15 novembre la seconda.

 

Secondo gli ultimi dati diffusi dall’Istat, nel mese di luglio le vendite al dettaglio hanno registrato una contrazione del 7,2% in valore e del 10,2% in volume rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Le incertezze sono molteplici, sia dal punto di vista lavorativo che economico, per non parlare poi di quelle a livello sanitario. Il popolo italiano è notoriamente un gran risparmiatore e non può che accentuare tale predisposizione di fronte ad un futuro quanto mai incerto.

 

Il calo dei consumi va imputato anche all’assenza dei turisti dalle nostre città d’arte ma in un certo qual modo anche allo smart working. Secondo alcuni calcoli effettuati da Confcommercio, il turismo si è dimezzato quest’anno, facendo registrare circa 5-6 milioni di presenze, comportando una perdita di fatturato per gli alberghi pari a circa il 70%, 4 milioni di euro al giorno di introiti in meno. Il settore della ristorazione, invece, registra una flessione dei ricavi del 45-50%, il 30% per l’abbigliamento.

 

Significativo anche l’impatto dello smart working sui consumi, pari a circa il 20-30% del fatturato, in aggiunta agli studenti universitari fuorisede che hanno deciso di restare a casa per usufruire delle lezioni online.

 

C’è poi tutto il giro d’affari che ruota attorno alle Fiere, con Milano che tenta la ripartenza partendo da AutoClassica, in programma da venerdì 25 settembre a domenica 27 settembre 2020.

 

A livello geografico, nel 1° semestre del 2020 le imprese del Centro hanno registrato un calo dei consumi del 29%, quelle del Nordest del 17,5%, quelle del Nordovest del 27% mentre quelle del Sud del 23,5%. A rivelarlo Confimprese, confederazione che rappresenta la grande distribuzione e le altre catene distributive, pronta a denuncia la situazione del settore domani in un’occasione della conferenza stampa annuale che si terrà a Milano.

 

Il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, parla di segnali di ripresa ma a macchia di leopardo. "Per il terzo trimestre ci attendiamo un forte rimbalzo statistico ma non ancora sufficiente per recuperare le perdite provocate dalla crisi Covid. Nel 2020, infatti, si prevede una caduta del Pil di oltre 9 punti percentuali. Per rafforzare la crescita è necessario utilizzare tutte le risorse europee e superare i problemi strutturali del Paese senza dimenticare che la riforma fiscale, mai avviata, rimane una priorità”.

 

L’indebitamento pubblico italiano cresce a dismisura

Altro grosso problema da non sottovalutare è l’indebitamento pubblico, già alto prima della pandemia. Stiamo aggiornando di mese in mese nuovi record: l’ultima rilevazione della Banca d'Italia al 31 luglio 2020, indica un debito pubblico pari a 2.560 miliardi di euro rispetto ai 2.530 miliardi di inizio mese, dato che si confronta con i 2.410 miliardi di fine 2019.

 

Secondo Moody's lo shock provocato dalla pandemia aumenterà il debito delle economie avanzate a causa del crollo della crescita nominale del PIL e dell'aumento del deficit. Le stime indicano in media che il debito/PIL nelle 14 economie avanzate salirà di circa 19 punti percentuali, con picchi del 25%.

 

Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) prevede un’impennata dell’indebitamento italiano al 166,1% del PIL per il 2020, dopo il 134,8% del 2019, per poi calare al 161,9% nel 2021. A fronte di una flessione del PIL del 12,8% per l’anno in corso, l’FMI indica un deficit al 12,7% del PIL.

 

Mes sì, Mes no

Indebitarsi era l’unica opzione possibile per garantire la ripartenza del paese dopo il Coronavirus, ma se proprio dobbiamo farlo sarà meglio contenere i costi il più possibile per cercare di caricare meno debito possibile sulle spalle delle future generazioni che si troveranno inevitabilmente a fare i conti con questo problema.

 

Al centro della discussione politica il Mes, Meccanismo europeo di stabilità, che non solo farebbe arrivare i soldi all’Italia prima del 2021 ma permetterebbe anche un risparmio dal punto di vista economico. I conti li ha fatti il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, specificando che utilizzando il Mes si avrebbe un deciso risparmio: avere delle ulteriori risorse a tasso zero (37 miliardi di euro a fondo perduto) è meglio che averle a tasso 1, soprattutto perché queste risorse sono disponibili senza condizionalità, “se ce ne fossero non varrebbe la candela”.

 

Se l’Italia accedesse al Mes, “avremmo dei soldi per finanziare le cose che già abbiamo deciso di fare in modo più conveniente, risparmieremmo qualche miliardo di interessi negli anni”. Facendo un po’ di calcoli, il numero uno del Tesoro ha spiegato che con il “Sure in 15 anni risparmiamo 5 miliardi e mezzo, all’anno circa 380 milioni. Il Mes sono un po’ di più, il conto è quello”.

 

Sul Mes manca un accordo nella maggioranza di Governo: per il Pd non c’è tempo da perdere, i soldi del Mes servono subito, mentre il Movimento 5 stelle continua a sostenere che possiamo farne tranquillamente a meno.

In tutto questo bailamme, continua il dribbling del premier Giuseppe Conte.

 

A che punto sono i progetti per il Recovery fund?

Il tempo è tiranno: entro il 15 ottobre prossimo l’Italia dovrà presentare in Commissione Ue per l’avvio delle consultazioni informali il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza (PNRR), così è stato chiamato il Recovery plan, insieme al consueto Documento Programmatico di Bilancio 2021.

 

Le linee guida sono state inviate alle Camere per l’esame, con obiettivi importanti che prevedono un raddoppio del PIL italiano all’1,6% e un tasso di occupazione in crescita dal 63% al 73%.

 

In primo piano la Riforma fiscale e tutti quegli interventi legati alla digitalizzazione e alla green economy. Intanto il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, nell’ambito del ciclo di audizioni deliberato per l’individuazione delle priorità nell’utilizzo del Recovery Fund, ha illustrato 11 progetti per rendere il mercato del lavoro più efficiente, che vanno dalla tutela del reddito con il progetto del salario minimo, al miglioramento della qualità del lavoro, dalle politiche attive del lavoro alla riforma degli ammortizzatori sociali, dalla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione al contrasto al caporalato e al lavoro sommerso, dall’inclusione sociale all’eliminazione del cosiddetto gender pay gap, ossia della disparità di genere nelle retribuzioni.

 

Martedì prossimo si tiene l’assemblea di Confindustria, con la partecipazione del premier Conte e del ministro dello Sviluppo Patuanelli. La volontà di dialogo è testimoniata dal fatto che per la prima volta l’assemblea si tiene nel pomeriggio proprio per permettere la partecipazione del premier. Dopo gli scontri dei mesi scorsi si prepara la pace? In ogni caso sarà un appuntamento importante sia per il governo, sia per gli imprenditori.

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