Il bivio

Ddl Zan, sulla ‘Nota’ del Vaticano barricate tra guelfi e ghibellini

La parole di Draghi - “Siamo uno Stato laico” - non sbloccano le tensioni politiche tra fronti opposti. Dialogo lontano. Il 6 voto sulla calendarizzazione

Ddl Zan, sulla ‘Nota’ del Vaticano barricate tra guelfi e ghibellini

La politica litiga ancora sul ddl Zan, anzi litiga più di prima. Dopo le parole del premier Draghi in Senato - “Il nostro è uno Stato laico, non uno Stato confessionale. Il Parlamento è libero di discutere e di legiferare” – non si dipana il caso sollevato dalla Segreteria di Stato vaticana. Palazzo Chigi, a fronte delle richieste della Santa Sede di rimodulare alcuni passaggi del disegno di legge sull’omofobia, affronta la questione “in punta di diritto”. E spiega che “il nostro ordinamento contiene tutte le garanzie per assicurare che le leggi rispettino sempre gli impegni costituzionali e gli accordi internazionali”. Come, appunto, il Concordato. La precisazione del presidente del Consiglio è netta, chiara. L’enunciazione di principio inconfutabile. La questione però resta annodata tra gli scranni parlamentari dove il potere della diplomazia vaticana è trasversale, come è sempre stato. 

 

Matteo Salvini, che da mesi gioca la carta dell’ostruzionismo – la proposta Zan è ferma in commissione Giustizia di Palazzo Madama, presieduta dal suo collega di partito Andrea Ostellari - dice che la “palla è nel campo del Pd”. Sottolinea che “senza dialogo” il provvedimento “non passerà”. E’ disposto “a chiudere un testo che punisca violenze e abusi e non inventi reati di opinione. Se Pd e M5s continueranno nella battaglia ideologica però la legge non si approva”. L’ex ministro dell’Interno difende la posizione del Vaticano: “non è un’ingerenza. Il Papa potrà dire come la pensa”. La Lega cavalca lestamente l’onda del fronte cattolico ortodosso e associa automaticamente all’iniziativa di monsignor Gallagher, il ‘ministro degli Esteri’ d’Oltretevere, la volontà di papa Francesco. Non tutti la pensano così negli ambienti cattolici.

Secondo Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio e ministro per la Cooperazione internazionale nell’esecutivo Monti, la richiesta al governo di rimodulare il ddl Zan viene dal clero italiano e non dal Papa. La “Nota è una vicenda un po’ particolare. Credo che provenga più che altro da ambienti italiani della Segreteria di Stato”, spiega. "In ogni caso” si tratta di un passo “molto raro nelle relazioni fra Santa Sede e governo italiano. In genere si usa il telefono o l'incontro”. 

 

Dunque, è evidente che qualcosa non ha funzionato nei canali diplomatici e nemmeno nei tradizionali rapporti che la Chiesa tiene con le forze politiche moderate e cattoliche. Le stesse che albergano anche in una parte del centrosinistra. Il blocco più conservatore del Pd potrebbe, ma non è certo, essere in disaccordo con il segretario Enrico Letta, per il quale quella contro la transomofobia è “una legge di civiltà”. Intanto, in assenza di un’intesa nella conferenza dei capigruppo sarà l’Aula del Senato il 6 luglio a decidere la calendarizzazione definitiva del provvedimento. 

L’ex capogruppo dem a Palazzo Madama ed ex renziano, Andrea Marcucci, fa la sua proposta: “Il 6 votiamo insieme il calendario, contemporaneamente apriamo il tavolo. Se la Lega supera l'ostruzionismo, possiamo aumentare il consenso sul Ddl Zan, con le dovute garanzie sui tempi di approvazione”. E avverte: “È finito il tempo delle furbizie, ora ogni gruppo parlamentare deve giocare a carte scoperte”. Ma la situazione è ancora complicata e l’interlocuzione non decolla.

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