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L’estate del “Dompe” esaurito, e il Covid sembra finito a prescindere

Il report di Mediobanca, e una nostra piccola indagine personale, confermano: c’è voglia di festeggiare. Si beve parecchio. Anche parecchio meglio, però

L’estate del “Dompe” esaurito, e il Covid sembra finito a prescindere

Mediobanca, che ormai inizia a prendere anche l’allure di una società di ricerca e analisi di mercato, abbandonando progressivamente l’aura sacrale che la ammantava ai tempi di Enrico Cuccia e delle grandi operazioni politico-finanziarie nazionali, ha rilasciato nei giorni scorsi un report congiunto con l’ufficio studi di Sace e Ipsos, segnalando un aumento degli acquisti di vino in enoteca o direttamente in cantina da parte degli italiani, insieme con una minore propensione all’acquisto nei supermercati e, com’era piuttosto logico attendersi, un boom dell’online.

Da semplici osservatori, potremmo aggiungere che nelle grandi città ci sia stata anche una crescita esponenziale di consegne a domicilio, opportunamente propagandate sulle fiancate dei mezzi pubblici, ma il dato non è circolato granché, dunque ve lo comunichiamo noi insieme a qualche altra informazione che abbiamo raccolto in questi giorni.

 

Per esempio, che se è vero, come dice la ricerca, che “i lunghi mesi di emergenza sanitaria hanno aumentato la consapevolezza degli italiani in materia di scelte alimentari” e che il tetrapack di vino senza storia abbia lasciato il campo a scelte ufficialmente ponderate, è altrettanto vero che l’euforia da progressive uscite dai lockdown (e forse il timore di ricaderci per una quarta volta) ci ha spinti tutti a bere non solo meglio, ma anche molto di più.

Per capire quanto, vi basterebbe fare una passeggiata a Campo de’ Fiori a Roma o a Brera a Milano (nel nostro caso specifico, ci affacciamo esausti alle 2 del mattino implorando di smetterla di gridare e altercare sbronzi). Si beve ovunque, felici e dimentichi, con conseguenze varie, specie femminili, per le più svariate ragioni (uhm sì, sulle donne il consumo di alcol ha un impatto a livello epatico quasi doppio rispetto a quello che si riscontra sugli uomini: dovremmo fare più attenzione a quantità e tipologia di alcol). 

 

Per bere bene si spende anche molto, facendo attenzione alla qualità, e questo è invece, o almeno, un dato positivo. Pur sapendo davvero poco di vini, abbiamo trascorso una serata di eccezionale qualità a parlare dei rosé del Chateau d’Esclans, tenuta a nord est di Fréjus in una zona di viticoltura di origine antichissima e, mentre constatavamo che non ci veniva mai mal di testa e che l’etichetta Garrus sviluppata dal patron Sacha Lichine avrebbe potuto tener testa ai più grandi fruttati che, pur nella nostra limitatissima esperienza, abbiamo degustato, siamo riusciti a strappare qualche informazione sull’attuale andamento della divisione Moet Hennessy del gruppo Lvmh che, fra le tante cantine francesi, controlla da poco anche questa, scoprendo che il consumo di Dom Pérignon non solo è cresciuto nell’ordine delle tre decine negli ultimi sei mesi, ma che al momento ci sono necessità di approvvigionamento. In molti paesi, a partire dagli Stati Uniti, le scorte sono esaurite.

Il “Dompe”, come lo chiamano i ragazzi della Generazione Z, che lo reputano lo status symbol ultimativo di questi anni più epicurei che modaioli, si è trasformato in un bene approcciabile in età diverse e con budget apparentemente diversificabili, a dimostrazione che c’è ancora ricchezza in giro, parecchia, o che forse sono cambiate le nostre priorità. 

 

Comprarsi l’ennesima t shirt ricamata a duecento euro ci imbarazza un po’, anche per le ricadute sull’ambiente (smembrare elementi diversi per riciclarli è operazione meno semplice ci quanto si creda, e ha a sua volta un impatto significativo); goderci una bottiglia di prezzo quasi uguale con gli amici ci mette allegria senza retropensieri. Come sottolinea non a caso il report di Mediobanca, la convivialità e la ricerca di qualità sono le guide, i drive, nei nuovi comportamenti di acquisto, insieme con il valore del locale e delle etichette rappresentate, che vanno determinando anche una polarizzazione negli acquisti: si accentua la forbice tra bottiglie di livello basso e alto, con uno scivolamento della fascia di prezzo medio verso quella inferiore.

Non abbiamo dati sull’estero, ad eccezione della smania per il “Dompe”, però Sacha Lichine, con quel nome da emigré russo e infatti abbiamo scoperto che suo padre Alexis, che in Francia veniva definito “il papa del vino”, era arrivato nel paese poco dopo la rivoluzione, ci ha detto che il gusto per i grandi vini si sta evolvendo e toccando generazioni e fasce sempre più ampie. 

 

Essere incompetenti di vini come noi è sicuramente una brutta cosa; però sappiamo riconoscere un momento sociale quando lo vediamo arrivare, e questo punta dritto a un aumento dei consumi. Accadde subito dopo la Prima Guerra Mondiale e negli Stati Uniti finì nel proibizionismo, con gli speakeasy, il whisky di contrabbando e la gente che beveva il Listerine pur di tenersi su. Adesso, per fortuna, andiamo per cantine e ci diamo un tono da cultori della materia.

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