Giustizia

La riforma Cartabia slitta ancora: in Aula venerdì 30 luglio

Si prende tempo per un compromesso che superi il muro 5S. Sul tavolo proposta di mediazione Pd. Gratteri incalza: “Seria la possibilità di farla franca”

La riforma Cartabia slitta ancora: in Aula venerdì 30 luglio

L’approdo in Aula della riforma Cartabia slitta ancora. Era attesa per domani, ma la conferenza dei capigruppo di Montecitorio riunita con il presidente Roberto Fico ha ufficializzato il rinvio a venerdì 30 luglio. Ora che la nuova data è stata fissata si cerca in tutti i modi di portare avanti una trattativa per un punto di caduta che stemperi le tensioni, e consenta all’esecutivo Draghi e alla Guardasigilli di chiudere la partita prima della pausa estiva. Anche se il governo dovesse porre la fiducia sul provvedimento una spaccatura su un tema così importante peserebbe troppo sui rapporti nella maggioranza di qui in avanti. Dunque, si ricomincia.

 

Il presidente pentastellato della commissione Giustizia della Camera, Mario Perantoni, aveva chiesto ieri la nuova calendarizzazione per via del numero altissimo di sub-emendamenti da esaminare: in tutto 1.631, di cui 916 a firma 5S, presentati rispetto al testo base di 21 emendamenti. A fare muro proprio il Movimento, che pure l’8 luglio in Consiglio dei ministri, insieme alle altre forze che sostengono il premier, aveva dato il via alla riforma. Il punto più controverso resta quello della prescrizione e del nuovo meccanismo della improcedibilità su cui il Pd ha proposto nelle ultime ore una mediazione. Si tratterebbe di allungare i tempi, ma solo fino al 2024: portando a tre anni quelli per l’appello e a due quelli della Cassazione per far scattare la non procedibilità.

Il problema però non è solo strettamente politico. Seppure lo stallo in Parlamento è determinato dall’opposizione del M5S, negli ultimi giorni è anche il mondo magistratura a far registrare una levata di scudi contro le nuove norme. Dopo i rilievi del procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Rhao, torna sull’argomento il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri.

In un’intervista al quotidiano la Stampa il magistrato, che più di tutti è impegnato nella lotta alla ‘ndrngheta, avverte che con la riforma sarà “seria la possibilità di farla franca”. “Basti pensare”, spiega, “che oggi una rapina si prescrive in 10 o 20 anni a seconda delle aggravanti. Se passa la riforma, un rapinatore, processato per direttissima, il giorno dopo saprà che sfruttando la improcedibilità dopo appena 2 anni dalla commissione del reato vedrà il suo processo dichiarato improcedibile. E quindi sarà incentivato a delinquere”.

Per Gratteri con la riforma Cartabia i processi “non verranno in alcun modo velocizzati. Sono previste alcune iniziative apprezzabili, come la semplificazione delle notifiche, ma se non si pone un argine alle impugnazioni, i processi non si sveltiranno in alcun modo”.

 

Anche David Ermini, vice presidente del Csm, interviene sul tema e sottolinea che gli appelli dei pm antimafia “meritano attenzione”. Quanto agli effetti della riforma afferma: “sono dell'idea che la Costituzione vada rispettata, e che quindi il tempo del processo debba essere il più breve possibile”. Ma molto dipenderà “dal governo: da quante risorse, da quanto personale" metterà a disposizione della Giustizia. “È teoricamente giusto che un processo di appello si possa svolgere in due anni, ma bisogna mettere in condizione le norme di funzionare”. E’ anche una questione di “personale, di edilizia giudiziaria, di magistrati”.

 

Intanto la ministra Marta Cartabia difende la riforma e sul pericolo che le nuove norme sull’improcedibilità possano travolgere i processi per reati di mafia e terrorismo precisa: “Si tratta di delitti sanzionati spesso con l’ergastolo, anche per l’effetto di aggravanti e quindi esclusi tanto da prescrizione che da improcedibilità”.

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