EditorialiOpinioniAnalisiInchiesteIntervisteScenariFirme
Il voto di gennaio

Guardando al Colle: Mario Draghi è un tecnico o un politico?

Per molti quella del premier è una figura tecnica Ma è davvero così? Essere estraneo ai partiti non esclude essere un abile politico. E Draghi lo è

Guardando al Colle: Mario Draghi è un tecnico o un politico?

Se dovesse prendere piede l’ipotesi della candidatura di Silvio Berlusconi al Quirinale (ma diciamolo subito, nè Meloni né Salvini sono convinti), il centrosinistra sarebbe obbligato ad avanzare un suo nome di area. In tal caso l’idea che la tessera di partito non debba essere prerogativa del prossimo inquilino del Palazzo che fu dei Papi se ne andrebbe definitivamente in soffitta. Dunque, ancora una volta, più convincente resta la carta Draghi, che qualcuno considera figura prettamente tecnica, altri annoverano tra i profili ‘politici’. In realtà, l’ex numero uno della Bce è entrambe le cose. Tecnico lo è senza dubbio, per formazione ed esperienza professionale. Politico lo è per attitudine e talento e in senso ampio e non ortodosso, perché estraneo ai partiti e alle loro dinamiche. Questo conta per la sfida che si aprirà a gennaio per l’elezione del successore di Mattarella? Potrebbe, certo.

 

Che Mario Draghi sia un fuoriclasse sul piano della competenza e della comprovata esperienza non c’è dubbio. Ma in dieci mesi ha dimostrato di esserlo anche su un livello diverso, più propriamente tattico-politico. Manifestando capacità di persuasione e decisionali che più volte hanno messo in difficoltà la maggioranza che lo sostiene. Ma come diceva il Cancelliere di Ferro, Otto von Bismarck, ‘la politica non è una scienza esatta’. E in questo momento tutte le forze politiche sono più in difficoltà di quanto vogliano ammettere. Per due ordini di motivi. Il primo: è opinione diffusa, anche tra i più riottosi, che il presidente del Consiglio quanto a bravura, autorevolezza e prestigio internazionale non abbia eguali. Escluderlo dalla corsa al Colle per giochi di Palazzo e in favore di figure meno autorevoli non verrebbe compreso a questo punto dall’opinione pubblica.

Secondo: dall’insediamento a Palazzo Chigi la popolarità del ‘banchiere’ è aumentata a passo veloce. E più è cresciuta la sua, più quella dei partiti è scivolata su un piano inclinato. Loro malgrado i leader che hanno dato vita all’unità nazionale hanno finito per cedere spazio e terreno all’antipolitica incarnata dal premier, estraneo alle loro pratiche e ai loro fini.

 

È un gran vantaggio che Draghi la sua ‘reputazione’ l’abbia costruita fuori dalla politica. Da un certo punto di vista, almeno. Perché dall’altro, il fatto che sia lontano da certe ambizioni dei leader e dei loro gruppi parlamentari lo rende più vulnerabile. Possibile oggetto di sgambetti o rappresaglie che più di qualcuno sarebbe tentato di mettere a segno proprio in occasione della scelta del prossimo presidente della Repubblica. Vedremo a gennaio. Intanto il presidente del Consiglio, in occasione della conferenza stampa di fine anno, la sua disponibilità a “servire le istituzioni” e, dunque, a salire al Colle l’ha data. Ora tocca ai partiti fare la loro parte e comprendere come muoversi per definire non solo il futuro dell’Italia ma anche il loro da qui ai prossimi sette anni.

Se la politica è l’arte di intendersi sia sul proprio vantaggio che su quello altrui, è altrettanto vero che porta con sé il mestiere di captare prima dei propri avversari quali svantaggi deriverebbero da una mossa o da un’altra. Sarebbe perciò auspicabile cercare un’intesa, la migliore possibile per il bene del Paese. Ma in coscienza sapendo che oggi, più di un anno fa, la politica ha bisogno di riabilitarsi nell’immaginario collettivo, di riconquistare la fiducia smarrita, di dare prova della capacità di frenare interessi di parte. Almeno su una scelta definente come quella che riguarda il futuro garante dell’equilibrio istituzionale fino al 2029. 

COPYRIGHT THEITALIANTIMES.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA