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Dopo il discorso del Presidente

Le manovre di una politica ancora sull’orlo di una crisi di nervi

L’appello di Letta: “Discutiamo su agenda Mattarella”. Ma il Cav punta a riunire i moderati. La trasversalità dell’area liberal-Dc uscirà allo scoperto

Le manovre di una politica ancora sull’orlo di una crisi di nervi

Più passano i giorni più il quadro muta. La settimana tumultuosa che ha portato alla decisione, saggia, di rieleggere Sergio Mattarella al Quirinale ha senza dubbio lasciato strascichi difficili da sanare. Il tema della rifondazione della politica, perché torni al centro dei rapporti tra cittadini e istituzioni, cerniera fondamentale per la partecipazione alla vita democratica del Paese, è stato tra i più importanti indicati dal capo dello Stato nel suo discorso dopo il giuramento davanti al Parlamento in seduta comune. E non è un caso. La preoccupazione per una politica sbandata, ondivaga, che agisce più sulla base dell’improvvisazione che su ragionamenti e progetti, alberga al vertice delle cariche dello Stato. E forse quel monito, non sferzante ma tutto sommato indulgente di Mattarella, potrebbe aiutare ad essere più solleciti. 

 

Dopo ieri, come Parlamento e come partiti e forze politiche, ci giochiamo la credibilità per il modo attraverso cui daremo seguito agli impegni contenuti nel discorso del Presidente”, dice il segretario del Pd, Enrico Letta. “Li abbiamo applauditi con scroscianti e ripetute ovazioni. Se rimanessero lettera morta, la politica tutta perderebbe forza”. Dal Nazareno arriva l’appello: “Troviamoci a discutere rapidamente dello strumento parlamentare più idoneo e decidiamo insieme le forme concrete con cui, nell’ultimo anno di legislatura, si può davvero dare attuazione alle sollecitazioni espresse in quello straordinario discorso”. Un gesto di apertura, sicuramente animato da buone intenzioni, ma che nel quadro attuale rischia di non avere esattamente le ricadute sperate.

 

Ogni forza politica di maggioranza più che mai in questo momento assomiglia a una monade, un’unità a sé stante che, a differenza della nozione che ci consegna la fisica, non è più indivisibile ma suscettibile di creare ulteriori centri minori. Queste nuove forze non vedono l’ora di uscire allo scoperto, trovare nuove forme di aggregazione, formule agognate e su cui la politica nazionale si misurerà in un prossimo futuro. Il processo è partito già da tempo e la settimana di passione del voto parlamentare sul Colle ha impresso un’accelerazione formidabile. Silvio Berlusconi oggi richiama le parole pronunciate solo qualche ora prima dall’ex fedelissimo, Paolo Romani, e dichiara: “Riuniamo i moderati nel solco del Partito Popolare Europeo”.

 

Il messaggio non è solo per gli azzurri e per i vecchi amici del Cavaliere fuoriusciti dalla sua orbita. Oltre a Romani, Toti e Brugnaro ci sono i cristiano democratici del centrosinistra: c’è Renzi, ad esempio, e Pierferdinando Casini, domiciliato per ora nelle file Pd. Anche nel Movimento Cinque Stelle, l’area che fa riferimento al sempre più democristiano Luigi Di Maio potrebbe guardare con favore al grande centro riformista e liberale. E in un domani nemmeno tanto lontano. 

 

Da questo bailamme generale non esce indenne nemmeno la Lega di Matteo Salvini. Che non è ancora pronta a rinnegare il leader che l’ha portata all’apice del consenso. Ma smottamenti ne sta vivendo. I moderati che seguono il ministro Giancarlo Giorgetti sono ben riconoscibili seppure imbrigliati in una struttura partito molto verticistica e fortemente gerarchizzata. Il Carroccio è in crisi d’identità, e più fa la voce grossa – non ha votato gli ultimi provvedimenti in Consiglio dei ministri – più si mostra fragile e disorientato. La verità è che nella maggior parte dei partiti la tensione è davvero alta. Cambiamenti ce ne saranno in futuro ma per battere questa crisi politica bisognerà ripartire dalle basi e anche dai leader. Perché siano meno impegnati a nutrire il proprio ego, meno estemporanei, più inclini a una cultura istituzionale.  

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