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la doppia fase

Hamas e lo sfruttamento della guerra per rafforzare il suo potere

La strategia dell’organizzazione islamista è basata su due fasi: provocare Israele e mobilitare la comunità internazionale contro lo Stato ebraico

Hamas e lo sfruttamento della guerra per rafforzare il suo potere

La guerra tra Israele e Hamas, che ha causato oltre 8.000 morti in meno di due settimane, non è solo un conflitto militare, ma anche una battaglia politica e mediatica. L’organizzazione islamista, che controlla la Striscia di Gaza dal 2007, ha utilizzato il conflitto a proprio vantaggio, seguendo una strategia basata su due fasi: provocare Israele e mobilitare la comunità internazionale. 

In particolare l’analisi di William McGurnWilliam McGurn, editorialista del Wall Street Journal, ha analizzato la strategia in due fasi di Hamas in un articolo intitolato "La guerra in due fasi di Hamas". Secondo McGurn, Hamas ha usato il conflitto come uno strumento per ottenere vantaggi politici a scapito dei civili palestinesi. McGurn sostiene che Hamas non ha mai cercato una soluzione pacifica con Israele, ma ha sempre perseguito la sua agenda islamista e terroristica. McGurn critica anche la comunità internazionale, in particolare le Nazioni Unite e l’Unione Europea, per aver legittimato Hamas e aver ignorato le sue violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale. McGurn conclude che la guerra tra Israele e Hamas non è una guerra tra due parti uguali, ma tra una democrazia che cerca di difendersi da un’organizzazione che usa i civili come scudi umani.

 

La prima fase: provocare Israele

La prima fase della strategia di Hamas è stata quella di provocare Israele con il lancio di migliaia di razzi sul suo territorio, puntando alla saturazione del sistema difensivo antiaereo “Iron dome”. L’obiettivo era quello di scatenare una reazione sproporzionata da parte dello Stato ebraico, che ha risposto con una massiccia campagna di bombardamenti aerei e terrestri su Gaza. Hamas sapeva di non poter competere con la superiorità militare di Israele, ma sperava di infliggere il maggior numero possibile di vittime tra i civili palestinesi, per suscitare l’indignazione e la simpatia della comunità internazionale. Inoltre, Hamas ha cercato di sfruttare le tensioni interne in Israele, dove si sono verificati scontri tra arabi e ebrei nelle città miste, e di minare la legittimità del governo.

 

La seconda fase: mobilitare la comunità internazionale 

La seconda fase della strategia di Hamas è stata quella di mobilitare la comunità internazionale a favore della causa palestinese, sfruttando le immagini drammatiche dei bombardamenti su Gaza e dei civili uccisi o feriti. Hamas ha cercato di presentarsi come il difensore del popolo palestinese e del luogo sacro dell’Islam, la moschea al-Aqsa a Gerusalemme, ed ha anche approfittato della debolezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), guidata da Mahmoud Abbas. Hamas ha così tentato di rafforzare il suo potere e la sua influenza nella Cisgiordania occupata da Israele e nella diaspora palestinese. Infine, Hamas ha cercato di ottenere il sostegno dei suoi alleati regionali, in particolare l’Iran e la Turchia, che hanno fornito armi, addestramento e assistenza politica.

 

La situazione attuale: la guerra non si ferma 

La guerra tra Israele e Hamas, che è iniziata il 7 ottobre, non si ferma. Nonostante gli appelli della comunità internazionale e gli sforzi diplomatici di alcuni paesi, come l’Egitto, non è stato raggiunto alcun accordo per un cessate il fuoco. Al contrario, i combattimenti sono diventati più intensi e violenti, con il lancio di razzi da Gaza verso Israele e i bombardamenti israeliani su Gaza.

La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è drammatica: oltre 8.000 persone sono morte, di cui la maggior parte civili, e più di 200.000 sono sfollate. Anche in Israele ci sono state vittime e feriti.

La guerra ha anche avuto ripercussioni regionali, con la mobilitazione di alcuni paesi arabi e musulmani a sostegno di Hamas e la condanna di Israele da parte di alcuni organismi internazionali, come il Consiglio dei diritti umani dell’ONU.

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