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Covid-19, Bruxelles: il lockdown visto dagli ‘expat’ italiani

Le interviste: uno spaccato di vita quotidiana dal Paese delle 'frites' e della cioccolata. E l'iniziativa della Federazione Italiana Cuochi del Belgio

Covid-19, Bruxelles: il lockdown visto dagli ‘expat’ italiani

Dal 19 marzo, gli italiani a Bruxelles stanno convivendo, anche in Belgio, con una situazione unica nella storia: il lockdown della capitale, sebbene in versione più ‘light rispetto al confinamento totale della gran parte dei loro connazionali in Italia. Uffici e attività chiuse, si resta attivi e reperibili da casa tramite il tele-lavoro. Non si può uscire dal proprio comune di residenza, se non con adeguata e seria giustificazione.

 

La premier belga Sophie Wilmes ha annunciato che il de-confinamento avrà luogo in maniera graduale. Intanto le misure di sicurezza sono state prorogate fino al 3 maggio.

 

Eventi di massa (come manifestazioni sportive, culturali e festival) sono annullati fino al 31 agosto. Anche l’ipotesi di una riapertura (di esercizi pubblici, negozi, bar, caffè, viaggi e spostamenti, scuole e altre iniziative per i giovani o di vita sociale) resta ancora sospesa fino a nuova decisione nelle prossime settimane. Dal 18 aprile, hanno riaperto i negozi di bricolage e i vivai. Erano già rimasti aperti, a partire dallo scoppio della pandemia, le tabaccherie, le edicole, gli uffici postali, alcune cioccolaterie e le ‘fritterie’ (dove si acquistano le ‘frites’, le patatine fritte tipiche del Belgio, un’icona soprattutto per turisti e stranieri). Permangono restrizioni per volare verso l’Italia. E ancora non si sa quando tutto riprenderà la normalità. E, soprattutto, a quali tariffe, condizioni e modalità.

 

Dai numerosi post pubblicati sulla piattaforma Facebook, si evince come l’esigenza più comune degli italiani in Belgio sia come raggiungere ‘casa’, l’Italia, attraverso routevia-terra’ o mezzi alternativi al trasporto aereo (per lo più, l'auto). Non si respira, tuttavia, aria di inquietudine. È moderata anche la reazione dei post allarmanti o delle fake news relative allo stato della crisi sanitaria.

 

Tutto chiuso, hotel, bar, palestre, un cambio-vita che non è stato facile per gli abitanti di Bruxelles, come per gli esercenti delle attività commerciali. Va avanti, ad esempio, il servizio a domicilio per la consegna del cibo via app, un sollievo per chi non è pratico del ‘fatto in casa’. Molti ristoranti e pizzerie sono rimasti aperti per poter effettuare consegne per asporto o take-away.

 

Intervista a Pino Nacci, Presidente della Federazione italiana Cuochi del Belgio

Per aiutare, riunire e informare, ci sono state tante iniziative. Una di queste è “Io resto a casa”, sotto lo slogan #staysafe, è stata messa in atto dai cuochi del Belgio, guidati dalla Federazione italiana cuochi (FIC) che hanno reso il loro servizio alla comunità locale.

 

The Italian Times ha chiesto allo Chef Pino Nacci, Presidente della sezione-Belgio della FIC, come sia nata l’iniziativa e come stia proseguendo.

 

Garofalo: 

Come vive il settore della ristorazione questa infelice stagione del coronavirus?

 

Nacci: «Uniti per resistere» – così esordisce Piano Nacci – «purtroppo non solo in Italia e nel mondo, ma anche qui in Belgio, l’impresa ricettiva e tutto il settore HoReCa stanno affrontando un momento estremamente duro. Tra gli operatori del settore c’è molta insicurezza, delusione, confusione e allo stesso tempo tenacia e speranza. Il dipartimento ‘Solidarietà ed Emergenze’ della Federazione italiana cuochi (attiva in tutto il mondo) è già operativo per fornire il proprio concreto contributo ai cittadini. Contributo che si svolge attraverso diverse iniziative benefiche, senza scopo di lucro. C’è infatti chi prepara i pasti al personale sanitario, chi mette a disposizione le materie prime e stock di ingredienti attinti dalle dispense del proprio ristorante, chi consegna pasti gratuiti a domicilio alle persone anziane, e così via…».


Nacci ricorda come una mobilitazione di simile portata è già avvenuta durante situazioni di emergenza causate da catastrofi naturali, come è stato nel caso del terremoto ad Amatrice, in cui la FIC aveva dispiegato sul territorio i team di chef e cuochi per far fronte alla crisi che generava difficoltà logistiche e di approvvigionamento alimentare.

 

Garofalo: 

Quella della FIC, può essere considerata un’occasione che valorizzi anche l’opportunità di promuovere il Made-in-Italy della cucina italiana all’estero?


Nacci: «Certamente, è proprio così. Anche le ‘dirette’ dei nostri chef sui Social network stanno intrattenendo i follower con gustosi show-cooking in cui si spiega in delle video-ricette - più o meno semplici - come realizzare piatti sani di endo- o eso-cucina italiana, soprattutto della tradizione e della dieta mediterranea. Si cerca di tenere alto il morale delle persone e intrattenerle, suggerendo la preparazione di piatti sani, ricchi di buoni ingredienti anche durante il  confinamento, in cui la frequentazione dei ristoranti, come luoghi di aggregazione sociale non è più possibile.» – ha affermato lo Chef.

 

Il lockdown in Belgio, insomma, pare abbia avuto - tra le varie conseguenze - il pregio incoraggiare abitudini alimentari più corrette rispetto a prima, con una netta prevalenza di scelte slow food e fresh home-made.Io resto a casa”, lo slogan di prevenzione anti-contagio, aiuterà a tornare il prima possibile alla normalità e alle nostre cucine» – conclude Nacci. E ricorda che, proprio il giorno di Pasqua, la FIC ha pubblicato e diffuso il Manifesto orizzontale dell’ospitalità e della Tavola per la rinascita della ristorazione al tempo del covid-19.

 

Risultato di una collaborazione tra la FIC, la Federazione italiana pubblici esercizi (FIPE) e l’Università San Raffale di Roma, si tratta di un documento che parla di Convivialità, Benessere, Sensorialità, Territorio e Condivisione, cinque regole d’oro per esaltare per il futuro della ristorazione al tempo del coronavirus e che rappresenta un’allegoria di rinascita del comparto eno-gastronomico italiano.

 

 

Le testimonianze di Carlo e Michele, due ‘expat’ nel quartiere Ue a Bruxelles

The Italian Times ha incontrato il senese Michele Lombardini, funzionario dell'Ue, 44 anni, e il cuneese Carlo Peano, project manager, 40 anni. Entrambi vivono e lavorano nel cuore dell’eurobubble (cosi è stato ribattezzato il quartiere istituzionale) rispettivamente dal 2007 e dal 2009.

Carlo ha osservato come, finora, in Belgio, si sia riusciti a evitare il diffondersi di notizie scoraggianti, o non corrette, sull’emergenza coronavirus.

 

Garofalo:

Cosa ci puoi dire riguardo al covid-19 a BruxellesCome lo stai vivendo in qualità di ‘espatriato’ italiano nella bolla?


Carlo: «Sono paradossalmente sereno. E noto che, spesso, sono i post sui Social, o i commenti agli stessi, a generare il panico o la mancanza di fiducia verso esiti positivi della gestione della crisi. Infatti, qui in Belgio, le pagine o siti che riportano contenuti e informazioni non verificate sono stati rimossi» - dice Carlo, enfatizzando come «durante le prime settimane, la copertura mediatica dell’emergenza coronavirus in Italia abbia avuto visibilità molto più marcata e coinvolgente, rispetto alle cronache della pandemia raccontate dal Belgio. Cosi, qui, è venuto meno l’effetto-shock, che i miei cari invece hanno subito in Piemonte e in altre regioni.»

 

Il cittadini accedono alle informazioni primarie sulla situazione reale dell’epidemia, principalmente attraverso il sito ufficiale (www.info-coronavirus.be/fr/news, disponibile in inglese, francese, fiammingo e tedesco). Anche il portale dell’ente Regione di Bruxelles e dell’Ambasciata d’Italia in Belgio pubblicano aggiornamenti, ordinanze e provvedimenti essenziali. Tra le varie indicazioni, si legge che è stato attivato il numero di emergenza, il 1710, per chi ne avesse bisogno (ad esempio, chi è appena arrivato in città o chi non ha un medico generalista).

«Nei Social in Italia e in TV sembrava che i media stessero documentando un film apocalittico, rasentando una spettacolarizzazione dell’epidemia” In Belgio, questa amplificazione non c’è stata, di fatto, forse perché Bruxelles, geograficamente lontana dai focolai del virus, non ne ha avvertito la gravità, o forse perché si è reagito diversamente senza drammatizzare» – ha concluso Carlo sorridendo.

 

Garofalo:

Come hai vissuto questo momento, lontano dai cari e dalla famiglia?

Parlaci della paura del contagio e di come è cambiata la tua vita in queste settimane.


Carlo: «E’ dura per tutti in questi giorni, c’è un clima di incertezza generale che lascia molti punti di domanda. È una strana sensazione mantenere la distanza sociale con amici, colleghi e chi faceva parte della nostra quotidianità. È triste se pensiamo che buona parte dei giovani italiani in Belgio è qui da sola, le famiglie sono in Italia o altrove. Quindi, è davvero importante, nonostante l’isolamento e le misure di sicurezza, ricorrere al network sociale, sentire la solidarietà e vicinanza degli altri, anche quelli in ‘rete’. Stanno proliferando, ad esempio, gli aperitivi ‘social’ via Zoom o Facebook, le ‘call’ in alcuni momenti fissi della giornata, per non sentirsi soli».

 

 

The Italian Times ha parlato anche con Michele Lombardini, funzionario del Servizio Europeo per l’Azione Esterna (SEAE), l’organo diplomatico dell'Ue, con sede a Bruxelles (oltre che in altre delegazioni nel mondo), istituito per rendere più coerente ed efficace la politica estera e di sicurezza dell'Unione, rafforzandone l’influenza sulla scena globale. Michele è originario di Siena, ha 44 anni, un carattere sportivo, pratica il calcetto a 7. Ci ha raccontato come si è organizzato con il tele-lavoro, quanto il lockdown abbia cambiato le sue abitudini quotidiane.

 

Garofalo:

Quali le sensazioni nella citta semi-deserta?


Michele: «Come in molte capitali europee, lo abbiamo visto in TV e sui giornali, certe piazze assumono un fascino più poetico se meno frequentate. Ad esempio, in questo periodo, per me è stato più facile osservarne l’architettura dei palazzi. In effetti, la Grand Place deserta sembra quasi uno spazio nuovo. Non avrei mai pensato di vederla sotto questa atmosfera ‘statica’, dato che accoglie flussi di turisti tutto l’anno. I parchi pubblici sono i luoghi più animati in questo periodo, visto che a Bruxelles è ancora consentito fare attività all’aperto. Michele, infatti, non rinuncia alla corsa al parco situato nel quartiere Ue, impropriamente detto ‘zona Schuman’, con le dovute precauzioni e il rispetto della distanza sociale.

 

Le condizioni climatiche sono state particolarmente favorevoli nell’ultimo mese. Stranamente, è stato sempre soleggiato e le temperature miti hanno permesso lunghe passeggiate. Sto vivendo l’esperienza del confinamento in una città che è rimasta comunque pulita (la raccolta dei rifiuti urbani è regolare, le strade sono costantemente igienizzate). Bruxelles è diventata ancora più ‘sportiva’ di quanto già lo fosse. Dalla finestra, vedo famiglie in bicicletta in strade in cui il traffico di auto è ormai è drasticamente ridotto. L’aria è più salubre. E nonostante tutto, stiamo vivendo una primavera a ritmi meno stressanti.»

 

Garofalo:

E per quanto riguarda la sicurezza pubblica?

 

Michele: «Il coronavirus ha anche reso Bruxelles una città molto più sicura. I controlli della polizia belga sono capillari e rigorosi, si avvalgono di droni e telecamere. Mi sento sicuro anche del fatto che non c’è più quel ‘via-vai’ tipico di Bruxelles per impegni istituzionali nella bolla, in quanto gli uffici dei palazzi europei sono chiusi. Visto che ormai non ci si muove, e i casi vengono isolati, i timori iniziali sono venuti meno. È aumentato, invece, il senso di solidarietà, più o meno a distanza, tra gli italiani residenti a Bruxelles. Si cerca, ad esempio, di ordinare pizza o piatti take-away presso ristoranti italiani»

 

Tra le ‘domande frequenti’ degli italiani a Bruxelles, figurano anche quelle sulla riduzione del servizio di noleggio-biciclette e di bike sharing. Nonostante la biciletta sia un’opzione consentita tra le attività fisiche outdoor, per motivi di contenimento del contagio, alcuni brand hanno deciso di ritirare le loro biciclette dalla strada…fino a quando?...

 

Altre curiosità ‘solidali’ degli italiani in Belgio, ai tempi del coronavirus

Intanto su Facebook, la consapevolezza sullo stato di crisi in cui riversano gli agricoltori italiani ha dato vita al “GruppoAcquistoSolidaleBruxelles”. Nella bacheca del network, si offre la possibilità agli italiani a Bruxelles di acquistare in gruppo partite di prodotti agricoli direttamente dai coltivatori italiani.

 

Tra le proposte di vendita online che viaggiano sui Social, figura anche chi offre o distribuisce olio d’oliva extra-vergine e vini italiani, prodotti ricercatissimi dalla comunità italiana in Belgio e in tutte le stagioni dell’anno. Il fine è garantire convenienza per chi compra, ma anche mantenere prezzi equi sul mercato, somme che vengono corrisposte direttamente alle società agricole e alle case vitivinicole.

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